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sabato, settembre 17, 2011

ZIBALDONE N.9 

Dopo aver trascorso un paio di settimane al Lido di Venezia – dove ho seguito come cronista la Mostra del Cinema - rientrare in sede e riprendere la lettura dei soliti quotidiani, è sorprendentemente difficile, come se uno rientrasse da una sorta di prigionia e trovasse tutto cambiato; in realtà non è cambiato proprio niente ed è tutto come prima che partissi! Ed allora troviamo tre notizie che mi hanno particolarmente colpito e che spero interessino anche i miei lettori.
LA PRIMA arriva dalla Svezia e riguarda una famiglia di italiani che si trovavano in vacanza in quel paese nordico: padre, (consigliere comunale di un paese del sud), madre e un figlio di 12 anni: per qualche ragione che il giornale non riporta, il capo famiglia ha tirato uno schiaffo al figlio sulla pubblica via e, scorto da un poliziotto, è stato immediatamente arrestato; processato per direttissima, e condannato a pagare una multa di 600 corone svedesi (circa 725 euro); la motivazione della sentenza: “aver provocato deliberatamente dolore al ragazzo”.
Che dire? Forse è meglio cavarsela con il solito “paese che vai usanze che trovi”!!
LA SECONDA riguarda sempre il rapporto padre figli, ma è di tutt’altra natura: si è svolta a Milano ed ha riguardato un padre egiziano di 61 anni, fervente musulmano, che dopo avere appreso che la figlia 17enne era intenzionata ad andare a vivere con un coetaneo “infedele”, ha tentato di soffocarla per punirla della mancanza: “se non sei più vergine ti devo ammazzare”; questa la sentenza emessa dal genitore dopo che la figlia ha confessato il proprio “peccato”.
Mentre la ragazza è a letto, le immobilizza le braccia e le infila in testa un sacchetto di plastica; la ragazzina lo supplica di liberarla, recita il Corano, poi finalmente gli dà un morso e riesce a scappare; appena fuori si reca alla Polizia e lo denuncia; conclusione della storia: il padre è finito in carcere accusato di tentato omicidio.
Anche qui “paese che vai usanze che trovi”!!
LA TERZA si riferisce ad una storia ben più “delicata”: mi riferisco alla vicenda svoltasi a Roma, in un garage, dove si è consumato un tragico “bondage” (letteralmente “schiavitù”), cioè un gioco erotico che trae il piacere dal cercare il dolore fisico e addirittura dal rischiare la propria vita, così come è accaduto a una delle due ragazze che, insieme ad un ingegnere hanno messo in scena questo spettacolo.
Fin qui la vicenda, tragica fin che vogliamo, ma sempre circoscritta – almeno così credevo – ad una ristrettissima cerchia di persone (quelli che una volta si chiamavano “depravati”); invece, le statistiche – che sempre appaiono non si sa bene da chi eseguite – mi hanno sorpreso laddove affermano che attualmente una coppia su cinque pratica questa attività, diciamo così trasgressiva.
Secondo queste statistiche, sembrerebbe che molte coppie, dopo aver trascorso una serata a base di cinema, pizza e birra, se ne andrebbero a spasso muniti di corde, a caccia di tubi a cui appendersi; il tutto, naturalmente, per provare piacere, da soli o in coppia oppure in gruppi più o meno numerosi.
E la conclusione è ancora più sconsolante: l’ingegnere presente alla scena in cui una delle due ragazze ci ha rimesso la vita, viene considerato un “esperto” e quindi abbiamo questa dichiarazione dagli amici: “non possiamo crederci, era un esperto”, che se ci fate caso è molto simile a quella che viene usata dagli amici dello scalatore precipitato in un dirupo: “chi l’avrebbe detto, era un provetto montanaro”; in entrambi i casi la perizia dei protagonisti può non essere sufficiente; forse occorreva la “cautela”.

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