sabato, luglio 30, 2011
SPRECO E MINIMALISMO
Alcuni giorni fa ho pubblicato un post in cui attaccavo la F.A.O., ennesimo carrozzone di questo mondo che sembra si regga soltanto su sprechi e ladrocinio.
In quel contesto mi ero documentato particolarmente sugli “sprechi” che avvengono nella moderna civiltà ed era venuto fuori un panorama decisamente sconsolante.
Poi pero mi sono chiesto: e se questi “sprechi” derivassero da una necessità che la moderna globalizzazione impone – attraverso un uso strumentale della pubblicità – ai cittadini del mondo al fine di realizzare quello che discende da una legge ipocrita e pazzesca: “l’offerta crea la domanda”, laddove si assiste all’influenza che gli attuali esseri umani subiscono da coloro che sono addetti a suscitare all’esterno le necessità di consumare questo o quel prodotto.
Tale accelerazione della domanda ha prodotto – o meglio, continua a produrre – una situazione nella quale i Paesi industrializzati corrono e si affannano a produrre sempre di più, ma analogamente si comportano anche gli altri, cosicché sembriamo tutti “fermi”, cioè come se corressimo su un tapis roulant alla rovescia; e chi molla – anche solo per poco – è perduto.
Questa società, capovolgendo venti secoli di pensiero occidentale e orientale, ha proclamato il principio (fatto proprio anche dai marxisti) che “non è bene accontentarsi di ciò che si ha”, fondando così l’infelicità umana, dato che non si pongono limiti a ciò che si può avere e quindi il margine tra realtà ed aspirazione resta sempre uno scarto insormontabile; insomma – scusatemi il paradosso – il successo è oggettivamente conquistato ma psicologicamente irraggiungibile.
In controtendenza a tutto quanto sopra esposto, abbiamo una corrente di pensiero che si firma “minimalista”, i cui adepti si danno da fare per guadagnare quello che è sufficiente a vivere e niente più; ovviamente il primo passo da fare è distinguere ciò che serve davvero rispetto a quello che è superfluo e quindi fare orecchi da mercante a tutte le sollecitazioni della pubblicità e quindi “non chiedendosi cosa sarebbe il mondo senza Nutella” e via di questo passo.
Il risultato sorprendente è che la lista di ciò che serve veramente diventa molto breve sino a concludere che per vivere basterebbe il 15% di uno stipendio ordinario (mi sembra poco ma così mi assicurano); guadagnare di più è inutile, dicono loro!
Con questa consapevolezza, il minimalista decide di lavorare solo per ottenere il denaro che gli serve e così lavora poco; non desidera neppure “un posto fisso” perché questo lo legherebbe troppo, preferisce occupazioni saltuarie, con cui guadagnare quel tanto che basta e niente di più.
Questi lavori saltuari non lo legano ad una residenza fissa e quindi è libero di spostarsi e cambiare città o addirittura Nazione; il tutto usufruendo di biglietti “last minute” sia per il treno che per eventuali aerei, dato che non ha orari e neppure date da rispettare.
In questa visione di vita, il minimalista – fatto salva l’acquisizione di quel tanto che basta per vivere – esercita pienamente la sua libertà di realizzare i propri desideri, dal teatro ai libri, dalle discussioni con gli amici a quelle con coloro che la pensano diversamente; il tutto purché rientri nel “minimo” a cui si può provvedere.
Se questa “folgorazione” del minimalismo avviene da giovane, si ha un’altra scoperta: non si ha bisogno di chiedere soldi ai genitori i quali entrano così in una drammatica crisi quando scoprono che i propri figli “non hanno un posto fisso ma non hanno neppure bisogno di soldi”; cosa ci sarà sotto si chiedono invano??
In quel contesto mi ero documentato particolarmente sugli “sprechi” che avvengono nella moderna civiltà ed era venuto fuori un panorama decisamente sconsolante.
Poi pero mi sono chiesto: e se questi “sprechi” derivassero da una necessità che la moderna globalizzazione impone – attraverso un uso strumentale della pubblicità – ai cittadini del mondo al fine di realizzare quello che discende da una legge ipocrita e pazzesca: “l’offerta crea la domanda”, laddove si assiste all’influenza che gli attuali esseri umani subiscono da coloro che sono addetti a suscitare all’esterno le necessità di consumare questo o quel prodotto.
Tale accelerazione della domanda ha prodotto – o meglio, continua a produrre – una situazione nella quale i Paesi industrializzati corrono e si affannano a produrre sempre di più, ma analogamente si comportano anche gli altri, cosicché sembriamo tutti “fermi”, cioè come se corressimo su un tapis roulant alla rovescia; e chi molla – anche solo per poco – è perduto.
Questa società, capovolgendo venti secoli di pensiero occidentale e orientale, ha proclamato il principio (fatto proprio anche dai marxisti) che “non è bene accontentarsi di ciò che si ha”, fondando così l’infelicità umana, dato che non si pongono limiti a ciò che si può avere e quindi il margine tra realtà ed aspirazione resta sempre uno scarto insormontabile; insomma – scusatemi il paradosso – il successo è oggettivamente conquistato ma psicologicamente irraggiungibile.
In controtendenza a tutto quanto sopra esposto, abbiamo una corrente di pensiero che si firma “minimalista”, i cui adepti si danno da fare per guadagnare quello che è sufficiente a vivere e niente più; ovviamente il primo passo da fare è distinguere ciò che serve davvero rispetto a quello che è superfluo e quindi fare orecchi da mercante a tutte le sollecitazioni della pubblicità e quindi “non chiedendosi cosa sarebbe il mondo senza Nutella” e via di questo passo.
Il risultato sorprendente è che la lista di ciò che serve veramente diventa molto breve sino a concludere che per vivere basterebbe il 15% di uno stipendio ordinario (mi sembra poco ma così mi assicurano); guadagnare di più è inutile, dicono loro!
Con questa consapevolezza, il minimalista decide di lavorare solo per ottenere il denaro che gli serve e così lavora poco; non desidera neppure “un posto fisso” perché questo lo legherebbe troppo, preferisce occupazioni saltuarie, con cui guadagnare quel tanto che basta e niente di più.
Questi lavori saltuari non lo legano ad una residenza fissa e quindi è libero di spostarsi e cambiare città o addirittura Nazione; il tutto usufruendo di biglietti “last minute” sia per il treno che per eventuali aerei, dato che non ha orari e neppure date da rispettare.
In questa visione di vita, il minimalista – fatto salva l’acquisizione di quel tanto che basta per vivere – esercita pienamente la sua libertà di realizzare i propri desideri, dal teatro ai libri, dalle discussioni con gli amici a quelle con coloro che la pensano diversamente; il tutto purché rientri nel “minimo” a cui si può provvedere.
Se questa “folgorazione” del minimalismo avviene da giovane, si ha un’altra scoperta: non si ha bisogno di chiedere soldi ai genitori i quali entrano così in una drammatica crisi quando scoprono che i propri figli “non hanno un posto fisso ma non hanno neppure bisogno di soldi”; cosa ci sarà sotto si chiedono invano??