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domenica, luglio 10, 2011

MONICELLI COLPISCE ANCHE DA MORTO 

Fra le tante furbate “inventate” per rubare soldi allo Stato, i cinematografari sono stati da sempre maestri e, in particolare, con l’istituzione del “Premio qualità”, hanno superato ogni limite; ma ci ha pensato Monicelli a fare giustizia: vediamo come!
Una commissione – genericamente composta da “addetti ai lavori” – sceglie tra 80 film, i dieci che eccellono e che possono quindi fregiarsi del “Premio Qualità”; come avviene la scelta: ogni membro di questa commissione si prende i DVD degli 80 film e decide quali di questi si meritano per far parte della “decina”; quindi si riuniscono in seduta plenaria e tirano fuori i giudizi, dai quali scaturisce la graduatoria.
Spero di essere stato chiaro fino a questo punto; arriviamo all’anno in questione – il 2006, peraltro ultimo anno di assegnazione del Premio – e vediamo che i dieci film premiati furono: “Il Caimano” di Moretti, “La sconosciuta” di Tornatore, “Il regista di matrimoni” di Bellocchio, “Centochiodi” di Olmi, “L’amico di famiglia” di Sorrentino, “Nuovomondo” di Crialese, “La stella che non c’è” di Amelio, “Il vento fa il suo giro” di Diritti, “La terra” di Rubini e “Lettere dal Sahara” di De Seta.
Da questa graduatoria, tutta piena di nomi “importanti” per il nostro cinema, viene escluso “Le rose del deserto” di Monicelli: la motivazione è degna di nota e quindi la riporto: “Il maestro Monicelli firma un’opera tratta da un’ottima sceneggiatura e che si avvale di un cast di attori strepitosi. Purtroppo la produzione non è all’altezza del maestro che è stato mandato, come i soldati di cui si racconta, ad affrontare l’Africa e il deserto, con scarsi mezzi, tra mille difficoltà e ritardi. Ciò nonostante il risultato è un’opera non riuscita ma intelligente, ironica, malinconica e cinica al tempo stesso. Purtroppo altre opere sono state comparativamente ritenute più meritevoli”.
Forse è quel “comparativamente” che ha fatto alzare le antenne al TAR, a cui si era rivolto il produttore Berardi, dato che lo stesso ha accolto il ricorso affermando che “i membri della commissione avrebbero dovuto vedere tutti insieme, in una sala cinematografica, le 80 pellicole da esaminare e non ognuno per conto proprio, anche a casa, con DVD”. Insomma, emergono due concetti interessanti sotto il profilo semiologico: l’assenza di collegialità per l’esame delle varie pellicole e il diverso “modo” di vedere le opere, fatte per il cinema, e visionate invece con un monitor da DVD molto più piccolo rispetto a quello delle sale di proiezione, in solitudine o, magari, con amici starnazzanti e disturbatori.
Vi posso dire che un film come “Centochiodi”, si può vedere anche in un monitor di computer, mentre “Le rose del deserto” ha bisogno dello schermo cinematografico; comunque, io che ho visto tutti i film sopra citati, sono costretto a dare ragione alla Commissione in quanto il film di Monicelli è inferiore agli altri e non per difetto in fase di produzione (nel cinema italiano è diventato un sistema l’arte di arrangiarsi), ma proprio perché il maestro Monicelli sembrava arrivato al capolinea e non aveva nient’altro da dire al suo pubblico; purtroppo!! Ma non è questo il problema!!
E adesso la botta finale: sapete in cosa consisteva il “Premio Qualità”? Una bella coppa oppure una targa in similoro? Nossignori! Il premio era (dico era perché è stato abolito) di 250/mila euro per ciascuno dei dieci film, facendo così una somma totale di 2.5/milioni di euro; come si vede, cifre iperboliche per il comparto e, soprattutto, lontanissime da quelle realizzate al botteghino dai film premiati.
E ora come si fa? Si riconvoca la commissione e si stila una nuova graduatoria con il film di Monicelli? O si fa all’italiana: “chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto”?!

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