mercoledì, luglio 20, 2011
LETTERATURA E GLOBALIZZAZIONE
Il recentissimo “Premio Strega”, famoso agone letterario italiano, è stato assegnato ad un libro “particolare”, scritto da un mio corregionale, il pratese Edoardo Nesi che possiamo definire un imprenditore/scrittore, in quanto ha rivestito entrambi i ruoli.
Il libro racconta di quanto accaduto nella sua zona – Prato, il regno degli “stracciaroli” coloro che dagli stracci “creavano” il tessuto – che dopo i successi della vitalissima piccola industria di provincia, si è ritrovata nell’attuale decadenza economica a causa della famosa “globalizzazione”; e per fare questa disamina ci racconta di quella sorta di uragano globale che la sua Prato ha subito quando è stata “invasa” dai cinesi e cosa si prova a diventare parte della prima generazione di italiani che si ritroveranno ad essere più poveri dei propri genitori.
È naturale che la “vecchia” provincia viene tratteggiata da Nesi con un occhio lucido dal rimpianto, con i suoi personaggi che sia pure incolti e ruspanti, riuscirono a creare una industria che era uno dei pochi fiori all’occhiello della nostra economia; anche il cinema si occupò di questa gente, sbeffeggiando amabilmente i personaggi che trasudavano ignoranza, ma non potendo fare a meno di rilevare che alla fine dei giochi, la loro capacità imprenditoriale – in quel contesto – la vinceva su tutto e su tutti.
Poi arriva la globalizzazione e qui il nostro autore presenta l’evento macro-economico come una sorta di promessa in cui le differenze tra le persone e gli Stati si sarebbero stemperate prima e dissolte poi in una dorata utopia in cui tutti gli abitanti del mondo sarebbero stati “cittadini di un unico impero”, sedati dalla pubblicità e imboniti dalla televisione, felici di parlare tutti la stessa lingua, tanto nessuno aveva più niente d’importante da dire.
E da questo rimpianto per un mondo che non c’è più, scaturisce un garbato ma fermo rimprovero ai vari Mario Monti, Francesco Giavazzi, Vincenzo Visco e a tutti coloro che durante gli anni ’90, prima che la Cina entrasse nel WTO e ai suoi prodotti fosse concesso di invadere l’occidente come un’onda di piena, giravano il mondo sorridenti e ben pasciuti, tutti tesi a firmare accordi che avrebbero minato la prosperità dell’Italia; e questi politici-economisti, spinti da un gigantesco complesso d’inferiorità, si rifiutarono di difendere gli interessi dell’industria manifatturiera nostrale e dei milioni di persone che “ci campano”; non credo che queste lamentazioni del Nesi si riferiscano ad un vieto e superato concetto di “autarchia”, ma siano dirette a ricercare una qualche soluzione per quel mondo caotico ma vitalissimo sviluppatosi dal dopoguerra agli anni ’90 nella nostra provincia; forse l’unico anelito di speranza lo fornisce Richard Ford che alla domanda “cosa fare”, risponde, senza rispondere, “sono certo che alla fine, in qualche modo, l’economia soccomberà a un atto dell’immaginazione”.
Per concludere, lungi da me parlare del valore artistico del libro di Nesi, voglio solo ribadire che lo stesso è scritto “sulla pelle” dei pratesi, siano essi imprenditori oppure semplici operai, tutta gente che adesso è con grossi problemi; per colpa del mercato!!
Già, “il mercato”; io aggiungerei che è un logico sviluppo della tecnologia; a questo proposito, quando entrai nel mondo del lavoro (anni ’70) venni accolto dall’invasione tecnologica che mi suscitò questa riflessione: ma con tutte queste diavolerie, ognuna delle quali compie il lavoro di tre persone, i posti di lavoro diminuiranno e allora la gente cosa farà; mi risposero: si riposerà e si divertirà, insomma meno lavoro e più divertimento e gioia per tutti; ci hanno azzeccato oppure mi prendevano per i fondelli?? La seconda è l’ipotesi più giusta, bastardi che non sono altro!!
Il libro racconta di quanto accaduto nella sua zona – Prato, il regno degli “stracciaroli” coloro che dagli stracci “creavano” il tessuto – che dopo i successi della vitalissima piccola industria di provincia, si è ritrovata nell’attuale decadenza economica a causa della famosa “globalizzazione”; e per fare questa disamina ci racconta di quella sorta di uragano globale che la sua Prato ha subito quando è stata “invasa” dai cinesi e cosa si prova a diventare parte della prima generazione di italiani che si ritroveranno ad essere più poveri dei propri genitori.
È naturale che la “vecchia” provincia viene tratteggiata da Nesi con un occhio lucido dal rimpianto, con i suoi personaggi che sia pure incolti e ruspanti, riuscirono a creare una industria che era uno dei pochi fiori all’occhiello della nostra economia; anche il cinema si occupò di questa gente, sbeffeggiando amabilmente i personaggi che trasudavano ignoranza, ma non potendo fare a meno di rilevare che alla fine dei giochi, la loro capacità imprenditoriale – in quel contesto – la vinceva su tutto e su tutti.
Poi arriva la globalizzazione e qui il nostro autore presenta l’evento macro-economico come una sorta di promessa in cui le differenze tra le persone e gli Stati si sarebbero stemperate prima e dissolte poi in una dorata utopia in cui tutti gli abitanti del mondo sarebbero stati “cittadini di un unico impero”, sedati dalla pubblicità e imboniti dalla televisione, felici di parlare tutti la stessa lingua, tanto nessuno aveva più niente d’importante da dire.
E da questo rimpianto per un mondo che non c’è più, scaturisce un garbato ma fermo rimprovero ai vari Mario Monti, Francesco Giavazzi, Vincenzo Visco e a tutti coloro che durante gli anni ’90, prima che la Cina entrasse nel WTO e ai suoi prodotti fosse concesso di invadere l’occidente come un’onda di piena, giravano il mondo sorridenti e ben pasciuti, tutti tesi a firmare accordi che avrebbero minato la prosperità dell’Italia; e questi politici-economisti, spinti da un gigantesco complesso d’inferiorità, si rifiutarono di difendere gli interessi dell’industria manifatturiera nostrale e dei milioni di persone che “ci campano”; non credo che queste lamentazioni del Nesi si riferiscano ad un vieto e superato concetto di “autarchia”, ma siano dirette a ricercare una qualche soluzione per quel mondo caotico ma vitalissimo sviluppatosi dal dopoguerra agli anni ’90 nella nostra provincia; forse l’unico anelito di speranza lo fornisce Richard Ford che alla domanda “cosa fare”, risponde, senza rispondere, “sono certo che alla fine, in qualche modo, l’economia soccomberà a un atto dell’immaginazione”.
Per concludere, lungi da me parlare del valore artistico del libro di Nesi, voglio solo ribadire che lo stesso è scritto “sulla pelle” dei pratesi, siano essi imprenditori oppure semplici operai, tutta gente che adesso è con grossi problemi; per colpa del mercato!!
Già, “il mercato”; io aggiungerei che è un logico sviluppo della tecnologia; a questo proposito, quando entrai nel mondo del lavoro (anni ’70) venni accolto dall’invasione tecnologica che mi suscitò questa riflessione: ma con tutte queste diavolerie, ognuna delle quali compie il lavoro di tre persone, i posti di lavoro diminuiranno e allora la gente cosa farà; mi risposero: si riposerà e si divertirà, insomma meno lavoro e più divertimento e gioia per tutti; ci hanno azzeccato oppure mi prendevano per i fondelli?? La seconda è l’ipotesi più giusta, bastardi che non sono altro!!