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sabato, giugno 18, 2011

IL SUICIDIO 

In premessa, mi scuso per affrontare un argomento del genere in un periodo in cui si comincia a pensare all’estate, alle vacanze, ed altre piacevolezze del genere; lo “spunto” me l’ha dato l”insano gesto” – una volta si chiamava così – di un mio conoscente (non lo posso definire un amico) con cui circa una volta la settimana c’incontravamo nei pressi di casa sua e si scambiava due chiacchiere; inoltre lui era sempre presente ad ogni iniziativa culturale in cui scopriva esserci il mio “zampino”.
Questo signore (che chiameremo Carlo) proprio ieri, è uscito dalla sua abitazione – situata al secondo piano di un palazzo “normale” – ed è andato dall’inquilino dell’ultimo piano (il sesto), a cui – con fare naturalissimo – ha chiesto notizie dei “doppi vetri” che aveva fatto installare chiedendo di vederli; niente in contrario, ovviamente, da parte del signore del sesto piano e quindi entrambi si sono recati nella stanza in questione, hanno aperto la finestra per vedere meglio la funzionalità del manufatto, dopo di che Carlo, senza una parola, si è lanciato dalla finestra lasciando atterrito e sotto choc l’amico del sesto piano ed atterrando su un’auto parcheggiata di fronte a casa; naturalmente la morte è stata istantanea.
L’antefatto del gesto, così come sono riuscito a ricostruirlo: Carlo si è sposato circa 45 anni fa, avendo come frutto del matrimonio dopo pochi anni una bambina affetta dalla “sindrome di Down” e, per colmo di sfortuna, dopo pochi anni la moglie muore improvvisamente lasciandolo solo a gestire questa difficile situazione; l’altra figlia – per fortuna “normale” – non ha retto alla pesantezza della situazione ed è scappata di casa già da molti anni rifacendosi una vita all’estero; conclusione, il nostro Carlo ha tirato avanti per circa 40 anni questo scomodo fardello, sempre da solo, con sporadici aiuti di qualche ente benefico, senza mai proferire un lamento.
In questo momento la ragazza è in un istituto specializzato che l’ha presa per il periodo estivo e l’ha portata al mare; il padre, contestualmente alla”libertà” raggiunta – sia pure per poco tempo – riceve delle analisi bruttissime e gli viene diagnosticato un tumore; tutto questo l’ho saputo adesso, perché era diverso tempo che non lo incontravo. Con questo stato d’animo, Carlo ha affrontato la sua dipartita inventando una soluzione escatologica delle propria esistenza nella quale ha utilizzato il coinquilino per avere la certezza di riuscire a farla finita senza grande dolore fisico.
Mi sembra inutile chiedersi “perché l’ha fatto”, date le tante problematiche negative che superavano in un ideale bilancio della sua vita le scarse note positive; nessuno saprà mai se l’anello finale delle sue “disgrazie” (la diagnosi tumorale) sia stato quello che ha fatto precipitare la situazione e ha indotto Carlo a cercare questa soluzione.
Se usciamo dal contingente e guardiamo la situazione della “morte” nel nostro secolo e in particolare nella nostra società, vediamo che la sua paura – in quanto “ignota” come risultanza – è alla base di ogni atteggiamento dell’uomo contemporaneo, il quale ha deciso di “rimuoverla”, abituato a dominare la natura e quindi non in grado di accettare quello che i filosofi chiamavano “i nuclei tragici dell’esistenza”: il dolore, la malattia e la morte. Ma quando invece la morte è vista come una sorta di liberazione da una condizione esistenziale non più accettabile? Ecco che allora l’uomo la utilizza come una sorta di “valvola di sicurezza” che lo proietta in una dimensione, certamente sconosciuta, ma che non può essere peggiore di quella attuale in cui il dolore è diventato insopportabile. Ed allora il detto che la vita “vale sempre la pena di essere vissuta”? Forse è stato inventato da uno che era sanissimo e fortunato!!

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