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lunedì, aprile 11, 2011

MA SARA' UNA BUONA IDEA? 

La Corte Costituzionale ha emesso una sentenza che sta facendo molto discutere e che vorrei sottoporre anche ai miei amici lettori per conoscere la loro idea in proposito; anzitutto la sentenza: ha confermato la condanna (peraltro il reato è prescritto) nei confronti di tre medici per la morte di una loro paziente di 44 anni, operata per un tumore, in stato avanzato, al pancreas; la donna era ovviamente morta e il tutto si era svolto nel dicembre del 2001 all’ospedale San Giovanni di Roma.
Le motivazioni della Consulta sono state che i tre medici hanno operato in “dispregio del codice deontologico che fa divieto di trattamenti improntati a forme di inutile accanimento diagnostico-terapeutico” questo anche se la donna aveva rilasciato specifica autorizzazione all’intervento, firmando il cosiddetto “consenso informato”, in quanto – continua la sentenza della Corte – “il prioritario profilo di colpa consiste nella violazione di prudenza, nonché delle disposizioni dettate dalla scienza e dalla coscienza dell’operatore”.
Insomma, per tradurre in “parole povere” la sentenza, possiamo dire che la Corte ha affermato che una paziente che ha già un piede nella fossa, non può essere operata in quanto tale intervento concorre ad abbreviare ancora di più la vita della donna; i medici obbiettano: ma noi l’avevamo avvertita che si trattava di un “tentativo rischioso”; del resto era un tentativo che poteva anche riuscire; come dire: tanto, peggio di così….!!
E qui sta forse il nocciolo della questione: fare un estremo tentativo per cercare di ottenere qualcosa di utile, tentativo che naturalmente comporta alti tassi di rischio, oppure lasciare che le cose procedano verso una fine certa e ineluttabile.
Il codice deontologico che cita la Consulta, prevede che in casi del genere il medico limiti la sua opera all’assistenza morale e alla terapia necessaria a risparmiare inutili sofferenze; nel caso in questione, il medico ha proposto – e la paziente ha liberamente accettato – un’operazione che, se fosse andata a buon fine, le avrebbe consentito di mantenere una migliore qualità della vita.
Per quanto attiene al concetto di “accanimento terapeutico”, mi sembra che sussista solo nel caso in cui l’operato NON sia ispirato al mantenimento di livelli accettabili di qualità di vita durante la fase terminale di una malattia inguaribile e l’intervento chirurgico in questione non mi appare come un sistema di accanimento.
Vi riporto adesso alcune considerazioni di esperti del ramo: la prima recita che la sentenza in esame potrebbe rivelarsi devastante, in quanto migliaia di vite sono state salvate con interventi temerari che, ovviamente, adesso non ci saranno o ci saranno con minore frequenza.
Un’altra opinione afferma che da ora in poi nessun chirurgo opererà in situazioni al limite tra il rischio di morte sotto i ferri del paziente e la sua salvezza.
Ci sono poi alcuni favorevoli alla sentenza della Corte e questi affermano che “il consenso informato all’operazione è necessario ma non sufficiente” oppure che “il medico non può limitarsi ad eseguire ciò che il paziente chiede viste le sue condizioni”.
Insomma, mi par di capire che una persona con un tumore in fase terminale, accetta qualsiasi intervento e non è detto che questo serva a migliorargli la qualità di vita, neppure se è fatto proprio con questo scopo.
Mi sembra che cerchino ci complicarci anche una delle cose più semplici: la morte. Infatti, non si capisce quanto incida la volontà del morituro nelle azioni di coloro che sono preposti a organizzare “una bella morte”. Eppure mi sembrava così semplice!

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