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giovedì, marzo 17, 2011

DOPO IL GIAPPONE CHE SI FA? 

Alcuni anni addietro, l’OMS dedicò la giornata mondiale della sanità al tema dei disastri e, in quell’occasione, uscì lo slogan: “se i disastri dovessero colpire, siate preparati”; con questa frasi s’intendeva ricordare ai Governi dell’intero Pianeta, che i disastri non avvertono quando arrivano e che pertanto occorre prevedere misure adeguate per attenuarne gli effetti.
Il Giappone sotto questo specifico aspetto è stato esemplare: grattacieli, strade, ferrovie, metropolitane, hanno retto l’urto di questo mega-terremoto facendo soltanto poche decine di vittime: le migliaia di vittime sono dovute allo tsunami che ha investito le coste: la gente è stata esemplare – un po’ per insegnamenti ma anche per struttura mentale – ed ha mostrato la propria compostezza, senza panico, senza vittimismo, ma con grande spirito di solidarietà ed unità.
Il terzo aspetto dell’immane disastro è quello ancora in corso ed ha un macabro nome: radiazione nucleare per effetto di un guasto a qualcuna delle oltre 50 centrali atomiche che il Giappone ha costruito sul proprio territorio e che avrebbero retto tutte molto bene, ad esclusione di quella situata a Fukushima il cui impianto sembra dare i problemi più preoccupanti, tant’è vero che è stata ordinata l’evacuazione della popolazione in un raggio di trenta chilometri (ma potrebbe aumentare).
Ecco, questo evento è stato l’unico che ha scosso la flemma degli orientali che si sono indotti a chiedere assistenza agli americani che, in queste tecnologie, sembrano essere dei maestri per tutti. Sull’onda di questo tragico accadimento, in tutto il mondo si è sparsa la paura per il nucleare e si sono sprecate dichiarazioni di politici su questo argomento: gloi USA e la Francia non hanno fatto una piega confermando la propria vocazione “nuclearistica” mentre la Germania si è mostrata più cauta, ordinando la chiusura degli impianti che superano i 40 anni di “lavoro” (misura quanto meno ovvia).
In Italia – uno dei pochi Paesi a non avere impianti atomici – si sta discutendo della riapertura di alcune centrali e quindi i pro e i contro all’iniziativa si stanno moltiplicando sull’onda dell’emozione di quanto potrebbe accadere in Giappone. (è di oggi una dichiarazione del Governo che s’impegna a subordinare l’istallazione delle centrali all’assenso delle Regioni interessate: è già qualcosa!).
Mi sembra però che eventuali schieramenti nucleare-si/nucleare-no, dovrebbero tenere conto della pericolosità – anche per noi – delle svariate centrali che abbiamo ai nostri confini. Il problema, a mio modo di vedere, andrebbe affrontato in forma più “globale”, nel senso che l’intera umanità dovrebbe chiedersi “dove vogliamo andare”; mi spiego meglio: se è vero, come è vero, che per lo sviluppo della nostra civiltà così come è attualmente impostata, l’energia è un elemento essenziale, credo che – fatto salvo il comparto delle energie alternative (assolutamente non sufficiente) – sia il petrolio/gas che il carbone abbiano una vita limitata (50 anni il primo, 100 il secondo), per cui il nucleare diventa “indispensabile”. Ma sia chiaro: indispensabile a questo modello paranoico dello sviluppo, un modello che pretende uno sviluppo continuo e costante del prodotto dei singoli Stati, pena il declassamento e la conseguente crisi.
Se invece si imparasse “tutti” a ragionare in modo diverso e ad “accontentarci” di meno cose da possedere (la più parte superflue) forse si potrebbe affrontare lo sviluppo con una diversa impostazione; si diceva che solo una guerra o comunque un grosso evento traumatico può indurre la gente a mutare abitudini: ebbene, questo potrebbe essere il caso che c’induce a riflettere sul futuro che vogliamo per i nostri figli e nipoti.

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