domenica, gennaio 30, 2011
IL MEDIO ORIENTE E’ IN FIAMME
E’ cominciato tutto in Tunisia ma come era facile prevedere, si è sparso per l’intero Medio Oriente; le manifestazioni di piazza contro i vari governi – tutti eletti “democraticamente” ma di fatto nelle mani di “uomini forti” - sono proseguite in Algeria, in Marocco, in Giordania (la più tranquilla della zona) e in ultimo sono approdate in Egitto che tutti consideravano “il più occidentale dei paesi arabi”; l’incendio ovviamente potrebbe propagarsi in altri paesi viste le tematiche similari.
E vediamole queste tematiche, queste motivazioni che hanno dato origine all’incendio iniziale in Tunisia: un giovane diplomato, che era costretto a fare l’ambulante, si è suicidato e sull’onda di questo gesto, la gente ha iniziato a manifestare, in apparenza contro la conclamata “dittatura” di Ben Alì, ma nella realtà contro le storture sociali ed economiche che ormai – anche per merito di Internet – non vengono più accettate.
Sotto il profilo politico, la situazione si spiega in due parole: l’occidente opulento, bisognoso di ”stare tranquillo” in particolare dall’Islam fondamentalista, ha “messo al governo” – ripeto, democraticamente, cioè facendo loro vincere delle elezioni – tutta una serie di uomini forti che avevano il pregio, agli occhi degli occidentali, di tenere sotto controllo il Paese e di permettere a tutti noi di utilizzarlo come luogo di vacanza.
Non dimentichiamo che il democratico Barack Obama, ha pronunciato il suo primo discorso rivolto al mondo arabo, proprio dalla roccaforte egiziana di Mubarak, quasi a testimoniarne una sorta di “alleanza”, oltre ad una stretta amicizia.
Che cosa succederà in un prossimo futuro? Dato per scontato che quando appicchi un incendio poi è difficile spengerlo, in tutti questi Paesi – e negli altri che verranno – la rivolta è fortissima; a questo proposito, prendo in prestito quanto dichiarato da un famoso scrittore di origine marocchina, Tahar Ben Jelloun, a proposito di quanto sta accadendo: “non chiamatele rivoluzioni; è solo la collera degli affamati”, continuando poi con “dietro la contestazione non c’è un discorso ideologico consapevole, programmato; potremmo quasi parlare di una rivolta scoppiata per caso”.
In sostanza, ribadisce, sia pure inconsciamente, quanto già teorizzato da Marx circa le condizioni per fare una rivoluzione: una situazione oggettivamente rivoluzionaria (e questa c’è) ed un partito autenticamente rivoluzionario (e questo non è assolutamente presente in quei Paesi); in sostanza , mi pare di capire dalle parole dello scrittore marocchino, la rivolta è scoppiata per caso e si è ingrandita a macchia d’olio, ma senza che nessuno la pilotasse verso qualcosa di strutturalmente rivoluzionario.
Quindi, siamo in presenza di una o più popolazioni che non sopportano più di essere umiliati, sfruttati, di non avere lavoro e neppure da mangiare; tutto questo mentre i mezzi d’informazione mostrano che negli stessi posti c’è qualche centinaia di persone che si permette una vita da nababbi alla faccia di tutti coloro che tirano la cinghia.
A ben guardare, queste situazioni si possono attagliare anche ai Paesi occidentali – per esempio al nostro – in cui la forbice che divide la povertà dalla ricchezza si apre sempre di più; e allora perché da noi non succede niente del genere? A mio giudizio per due ordini di motivi: il primo è che da noi esiste un “welfare” che riesce a coprire, almeno in parte, le fasce più deboli e la seconda è quella della “famiglia”, del nonno o della nonna, dello zio o della zia che, in un recente passato, sono riusciti a raggranellare qualche soldo e qualche beneficio (pensione) che adesso viene spalmato sulle generazioni maggiormente in crisi, permettendo loro di “tirare avanti”; e poi, anche da noi non riesco a vedere “il partito che potrebbe guidare una rivoluzion
E vediamole queste tematiche, queste motivazioni che hanno dato origine all’incendio iniziale in Tunisia: un giovane diplomato, che era costretto a fare l’ambulante, si è suicidato e sull’onda di questo gesto, la gente ha iniziato a manifestare, in apparenza contro la conclamata “dittatura” di Ben Alì, ma nella realtà contro le storture sociali ed economiche che ormai – anche per merito di Internet – non vengono più accettate.
Sotto il profilo politico, la situazione si spiega in due parole: l’occidente opulento, bisognoso di ”stare tranquillo” in particolare dall’Islam fondamentalista, ha “messo al governo” – ripeto, democraticamente, cioè facendo loro vincere delle elezioni – tutta una serie di uomini forti che avevano il pregio, agli occhi degli occidentali, di tenere sotto controllo il Paese e di permettere a tutti noi di utilizzarlo come luogo di vacanza.
Non dimentichiamo che il democratico Barack Obama, ha pronunciato il suo primo discorso rivolto al mondo arabo, proprio dalla roccaforte egiziana di Mubarak, quasi a testimoniarne una sorta di “alleanza”, oltre ad una stretta amicizia.
Che cosa succederà in un prossimo futuro? Dato per scontato che quando appicchi un incendio poi è difficile spengerlo, in tutti questi Paesi – e negli altri che verranno – la rivolta è fortissima; a questo proposito, prendo in prestito quanto dichiarato da un famoso scrittore di origine marocchina, Tahar Ben Jelloun, a proposito di quanto sta accadendo: “non chiamatele rivoluzioni; è solo la collera degli affamati”, continuando poi con “dietro la contestazione non c’è un discorso ideologico consapevole, programmato; potremmo quasi parlare di una rivolta scoppiata per caso”.
In sostanza, ribadisce, sia pure inconsciamente, quanto già teorizzato da Marx circa le condizioni per fare una rivoluzione: una situazione oggettivamente rivoluzionaria (e questa c’è) ed un partito autenticamente rivoluzionario (e questo non è assolutamente presente in quei Paesi); in sostanza , mi pare di capire dalle parole dello scrittore marocchino, la rivolta è scoppiata per caso e si è ingrandita a macchia d’olio, ma senza che nessuno la pilotasse verso qualcosa di strutturalmente rivoluzionario.
Quindi, siamo in presenza di una o più popolazioni che non sopportano più di essere umiliati, sfruttati, di non avere lavoro e neppure da mangiare; tutto questo mentre i mezzi d’informazione mostrano che negli stessi posti c’è qualche centinaia di persone che si permette una vita da nababbi alla faccia di tutti coloro che tirano la cinghia.
A ben guardare, queste situazioni si possono attagliare anche ai Paesi occidentali – per esempio al nostro – in cui la forbice che divide la povertà dalla ricchezza si apre sempre di più; e allora perché da noi non succede niente del genere? A mio giudizio per due ordini di motivi: il primo è che da noi esiste un “welfare” che riesce a coprire, almeno in parte, le fasce più deboli e la seconda è quella della “famiglia”, del nonno o della nonna, dello zio o della zia che, in un recente passato, sono riusciti a raggranellare qualche soldo e qualche beneficio (pensione) che adesso viene spalmato sulle generazioni maggiormente in crisi, permettendo loro di “tirare avanti”; e poi, anche da noi non riesco a vedere “il partito che potrebbe guidare una rivoluzion