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mercoledì, dicembre 01, 2010

C’E’ CHI VA SUI TETTI E CHI ALL’ESTERO 

Mentre i nostri studenti continuano le proteste selvagge contro la nuova legge sulla scuola, circa 50.000 giovani studenti frequentano l’università fuori dai confini nazionali.
Quasi tutti noi abbiamo nel nostro albero genealogico un qualche avo che è andato all’estero per cercare di migliorare la condizione sociale ed economica sua e della sua famiglia;quindi di questi “emigranti di lusso” ci facciamo caso fino ad un certo punto.
L’unica cosa che ci interessa è sapere che in Italia abbiamo circa 50.000 famiglie che possono supportare economicamente questi giovani, sostenendoli economicamente in questo loro percorso di avviamento alla vita; il costo? Un anno di frequenza in un ateneo americano costa almeno 40.000 dollari, fra tasse, vitto e alloggio; in Francia, Germania e Inghilterra (ma qui ora sono aumentate le tasse universitarie in modo spropositato), il costo è leggermente inferiore, ma l’’ordine di grandezza è quello: 40.000 dollari che rapportato all’euro, si riduce a circa 30.000 euro.
Quali i motivi di questa sorta di “fuga di cervelli in formazione”? I più adducono la motivazio0ne che nelle università straniere c’è una maggiore meritocrazia, oltre al fatto che l’ambiente studentesco è molto più stimolante; però, anche se non viene detto pubblicamente, sappiamo che la motivazione principale è che una volta laureati, si trova più facilmente un posto di lavoro – sia in Italia che all’estero – e che si guadagna di più con un titolo accademico preso all’estero.
Sono tutte motivazioni giuste e valide, ma alla base c’è un esborso che alla maggioranza delle famiglie italiane non è permesso; chiaro il concetto??
Ai giovani che attualmente presidiano le stazioni ferroviarie o gli ingressi di alcune autostrade, oppure ancora che salgono sui monumenti principali della nazione e da lì calano striscioni inneggianti alla protesta, vorrei solo ricordare che questi 50.000 loro colleghi continuano la loro strada di studio e di apprendimento e che, molto probabilmente, saranno quelli che “il sistema” farà approdare ai migliori posti di lavoro.
E vorrei ricordare che dopo le manifestazioni definite sessantottine, molte aziende hanno continuato fino a tutti gli anni ’70 a chiedere nei curriculum che gli aspiranti al lavoro presentavano, gli anni di frequenza universitari e se questi anni corrispondevano a periodi particolarmente turbolenti (occupazioni, marce di protesta, ecc.) gli esaminatori segnavano dei punti di penalizzazione sulle graduatorie.
Mi ricordo che veniva detto – in soldoni – che un ingegnere o un architetto (cioè coloro che avevano conoscenze scientifiche) che aveva frequentato l’università nei periodi turbolenti, valeva meno di un geometra che si era diplomato in periodi “tranquilli”.
Non entro nel merito del decreto Gelmini, poiché non lo conosco nei dettagli e non ho le conoscenze per giudicarlo, ma voglio solo dire che la situazione attuale è la peggiore possibile e quindi qualsiasi cambiamento potrebbe solo migliorarla; ho letto che il figlio di un noto uomo politico (purtroppo di sinistra) si è laureato a 23 anni (alla facoltà dove il padre era Preside), e a soli 28 anni è stato nominato “professore associato”, ovviamente nella Università dove il padre, nel frattempo, era diventato Rettore. E questo senza che nessuno si scandalizzi, neppure quelli che adesso vanno sui tetti insieme ai ragazzi che protestano, forse giustamente, ma che non hanno ancora capito che li stanno strumentalizzandoli e che i figli dei politici che adesso li “coccolano”, sono a studiare all’estero o comunque quando usciranno dall’università avranno un posto assicurato; da chi? Dal padre, inserito nel sistema di potere e quindi in grado di disporre delle “leve” giuste; chiaro il concetto??

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