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giovedì, dicembre 23, 2010

ANCHE OBAMA NON SE LA PASSA BENE 

Dopo la pesante sconfitta dei democratici nelle elezioni “di mezzo termine”, il Presidente Obama si è trovato in grosse difficoltà con il parlamento statunitense dove ha dovuto realizzare una sorta di politica “bipartisan”, facendo snervanti accordi con i repubblicani su tutte le materie particolarmente importanti per gli americani.
Il primo provvedimento che è strato oggetto di una lunga – e non ancora terminata – trattativa è stato quello che riguarda la chiusura della base di Guantanamo, dove sono rinchiusi, senza nessun avallo della magistratura, una serie di terroristi o presunti tali.
Questa chiusura, se i miei lettori ricordano bene, è stata oggetto addirittura di una specifica assicurazione di Obama al proprio elettorato: “se verrò eletto, Guantanamo sarà chiuso dopo pochissimo tempo”; sembrava tutto fatto, tutto semplice, ma i repubblicani hanno inventato un escamotage parlamentare, in quanto sono riusciti a bloccare “la spesa” iscritta a bilancio, occorrente per le varie operazioni attinenti alla chiusura (trasferimento dei detenuti, sistemazione delle guardie, ecc.)
Adesso, vista l’impossibilità di tornare sopra alla normativa della chiusura, l’amministrazione di Obama ha deciso di “vendere” la chiusura di Guantanamo per un prezzo adeguato: il prolungamento dell’indennità di disoccupazione per oltre due milioni di lavoratori.
In questi giorni l’amministrazione Obama deve gestire anche una operazione che, oltre allo spessore politico, ha una buona fetta di sentimentalismo: la vigilia di Natale, l’ultimo dei Kennedy, Patrick, lascerà il seggio di deputato e quindi – dopo la morte del padre Ted, senatore – non ci sarà più nessun Kennedy in Parlamento e neppure nessuna coppia di padre-figlio; per la verità quest’ultimo problema verrà subito risolto, dato che i due della famiglia Paul – Ron e Randy – sono appunto padre e figlio, ma quanto sono diversi dai personaggi della famiglia politica più famosa d’America; pensate che Ron Paul, il padre, è stato eletto nelle file del “Tea Party” (ne ho parlato diverse volte di questa nuova formazione ultra conservatrice) ed ha propugnato per l’intera campagna elettorale lo slogan “We take our country back” (riprendiamoci il nostro Paese).
Un’altra tegola che sta per cadere sulla testa di Obama è quella del mostruoso indebitamento, dovuto – gridano i suoi detrattori – alle faraoniche spese sociali sostenute da questa amministrazione; il debito pubblico attraverso cui il Tesoro americana si è da sempre finanziato, ha avuto da Moody’s – come si conviene ad una nazione super potente – le tre “A” che certificano massima affidabilità; ebbene, adesso Moody’s minaccia di togliere una di queste “A” declassando così l’affidabilità del debito statunitense. L’operazione, qualora dovesse realmente avvenire, avrebbe del catastrofico, perché una cosa è declassare il debito sovrano di Irlanda, Grecia, Spagna, e un’altra è declassare quello della superpotenza economica, i cui titoli funzionano da “riserve” in molti Paesi del mondo.
Uno di questi, per l’appunto, è la Cina che detiene il 60% dei Buoni del Tesoro americani e che, se avvenisse il declassamento, ne risentirebbe pesantemente; da qui la “speranza” che l’unione delle forze cino-americane, possa convincere Moody’s a non declassare il debito statunitense.
Per il resto, è chiaro che Obama – con il debito al 90% del Pil e la disoccupazione al 9,8% - deve provvedere con urgenza al risanamento della finanza pubblica; non sarà facile, quindi mi sento di fargli i miei – e i vostri? – calorosi auguri!!

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