<$BlogRSDUrl$>

martedì, novembre 16, 2010

SIAMO UNA SOCIETA’ SODDISFATTA? 

Il termine “soddisfatta” cercherò di svilupparlo nelle due accezioni: la prima ci dice che si tratta di una condizione “rispondente alle proprie aspettative o aspirazioni”, mentre la seconda è più materialista e si riferisce al fatto di “ricevere quanto gli è dovuto”.
Vediamo, partendo da questa seconda accezione del termine, che sotto il profilo della soddisfazione materiale, mostriamo la nostra condizione attraverso lo scempio che commettiamo quotidianamente, liberandoci da una quantità smisurata del nostro cibo che, evidentemente, è stato prodotto e/o comperato in misura superiore alle nostre possibilità di riceverlo ed utilizzarlo.
Tutto ciò, messo in correlazione con quanto avviene nel cosiddetto terzo mondo, ci indica il nostro “peccato”; ricordiamo che, secondo cifre pubblicate dalla FAO, dopo dieci anni dall’impegno a diminuire la fame nel mondo, 854milioni di persone soffrono ancora per la mancanza di cibo; e questo mentre dalla parte opposta – sotto il profilo della condizione sociale, s’intende – gettiamo nell’immondizia quella parte del nostro cibo che va oltre la nostra soddisfazione quotidiana; pensiamo che i Mercati di Roma gettano nelle discariche, in 48 ore, 67 tonnellate di frutta e verdura, 15 di carne e pesce e 3 di pane e dolciumi: soltanto questo cibo, non tutto deteriorato, avrebbe potuto togliere dalla fame, quotidianamente, quasi un milione di persone
E se vogliamo, tutto ciò crea una situazione paradossale per la quale il povero di questo secolo è molto più indifeso rispetto a quello del passato che aveva imparato a gestire una “civiltà del meno”, chiamata non a caso, civiltà della sopravvivenza; adesso il Mondo è diviso in strati sociali: 1miliardo e mezzo di uomini appartiene ai Paesi “ricchi”, 2miliardi e mezzo a quelli di “medio benessere” e 3miliardi e mezzo ai Paesi “poveri”. Sarebbe un’eresia ipotizzare questi ultimi che – con le buone, almeno per il momento - chiedono al Papa di staccare dai Musei Vaticani un quadro di Raffaello e uno del Caravaggio, alla Regina d’Olanda un pezzo (magari un paio di mozzi) della sua celebre carrozza d’oro, alla Regina d’Inghilterra tre disegni di Leonardo che fanno parte della sua pinacoteca, e venderli per dare il cibo a chi non ce l’ha.?
Il momento che stiamo vivendo, con le sue stridenti contraddizioni e con i fondamentali basati sull’egoismo e sull’imprevidenza, potrebbe coinvolgere le nostre abitudini – cioè i privilegi – e condurci verso una riduzione del nostro tenore di vita; in assenza di tale “mossa” tutto potrebbe ritorcersi contro di noi, anche in modo drammatico.
In tempi ancora non sospetti, qualcuno invitava l’Occidente a riconoscere che qualcosa, nelle strade finora battute, era radicalmente sbagliato; ma i destinatari di questo appello hanno fatto orecchi da mercante e tutto ha continuato a “rotolare” verso l’attuale situazione nella quale si rischia di perdere “tutto” e di dover ricominciare daccapo; e se non esiste più una morale universalizzante e neppure la certezza di un Dio che ci bastoni ma poi ci aiuti e ci perdoni, il “relativismo” che ne deriva è assolutamente immorale – o meglio “amorale” – e le frustrazioni, l’angoscia e le nevrosi dell’uomo contemporaneo diventano “patrimonio” della gente e vengono combattute con la compulsione dell’acquisto di tutto, specialmente del superfluo.
Ovvio che l’attuale sistema della comunicazione di massa fa la sua parte nell’addomesticare il singolo per indirizzarlo al consumo “coatto” di qualsiasi cosa, anche di ciò che a lui non occorre o non interessa: tanto poi, se proprio non serve, si butta nell’immondizia! E nei nostri occhi si materializza l’immagine di una città sepolta dai rifiuti che diventano un nuovo problema che l’uomo di adesso non sa risolvere.

This page is powered by Blogger. Isn't yours?