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mercoledì, novembre 10, 2010

SIAMO ALLA "CONTRADDIZIONE"? 

La famosa “contraddizione” interna al capitalismo prevista da Marx per la rivoluzione del proletariato, sembrerebbe essere stata individuata da vari sociologi nell’odio per l’Occidente radicato nella maggioranza dei popoli del Sud del mondo.
Del resto, la gente comincia a rendersi conto che oggi viviamo in una dittatura delle oligarchie finanziarie per cui le 500 più grandi società private “globalizzate” hanno assommato oltre il 53% del Pil mondiale.
Sulla scorta di queste cifre, possiamo affermare che queste oligarchie hanno un potere che nessun re o imperatore ha mai avuto sul nostro Pianeta; di contro, altre cifre ci dicono che ogni cinque secondi muore di fame un bambino sotto i dieci anni di età e oltre un miliardo di persone sono gravemente sottoalimentate, mentre la Fao ci informa che l’attuale agricoltura potrebbe nutrire 12 miliardi di persone, quasi il doppio della popolazione mondiale; perché questo non avviene? Alcuni sociologi definiscono questo come un nuovo “ordine cannibalico” e quindi, a mio giudizio siamo alla prima grandissima, macroscopica “contraddizione”.
Marx ipotizzava che il proletariato – o meglio, le sue avanguardie più progreedite– avrebbero lanciato una rivoluzione violenta e sanguinaria, con la quale avrebbero sconfitto la borghesia e ne avrebbero preso il posto nell’ordine mondiale delle cose.
Tutto questo non è avvenuto soprattutto perché al proletariato – o meglio, ripeto, alle sue avanguardie – è stato fatto credere di essere stato “promosso” all’interno della borghesia, cioè della classe che doveva distruggere e quindi l’anelito rivoluzionario se ne è andato a farsi friggere. A questo dobbiamo aggiungere che uno dei risultati della globalizzazione è che qualsiasi cosa venga pensata in un Paese deve andare bene anche per gli altri e quindi, il concetto rivoluzionario non è esportabile se non per grandi movimenti di massa; questi grandi movimenti potrebbero essere le masse migranti alla ricerca del cibo e – come logica conseguenza – di coloro che fino ad ora glielo hanno negato; se queste masse troveranno forza sufficiente e una leadership che li sappia guidare, potrebbero diventare quei proletari di cui si parlava all’inizio.
In aggiunta, abbiamo anche formidabili “movimenti” che – pur senza muoversi – generano delle rotture grandiose con il passato: alludo a molte situazioni che sono emerse ed esplose nell’America Latina, laddove – a differenza dell’Africa – si è trovato alcuni movimenti di rottura che stanno cambiando le realtà del Continente.
Ad esempio, in Bolivia è stato eletto un indio alla guida del Paese e questi ha avviato straordinari cambiamenti come la riforma agraria, l’uso interno delle tante risorse naturali del Paese – finora in mano alle multinazionali straniere – e la lotta (peraltro già vinta) alla fame. Sulla stessa linea, o quasi, si è posto Rafael Correa che, pur essendo un bianco, è stato eletto alla guida dell’Ecuador dagli indios e, anch’esso, sta lottando contro le oligarchie; un terzo caso lo troviamo in Venezuela, dove Hugo Chavez sta usando il petrolio – nazionalizzato e tolto dalle grinfie degli occidentali – per le politiche sociali e non per arricchire gruppi ristretti di persone.
Possiamo dire che queste situazioni sono le punte emergenti di un proletariato in lotta contro la borghesia e che potranno essere esportate al di fuori del Paese dove nascono? Difficile fare previsioni, soprattutto perché le oligarchie sono sempre vive e vegete e non sono state ancora distrutte; quindi questi “movimenti di rottura” hanno ancora la vita dura in patria, figuriamoci se possono pensare al resto del mondo; eppure, credo che da soli noi occidentali non ce la faremo; chiara la richiesta di aiuto??

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