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lunedì, luglio 26, 2010

RAGAZZI, QUI VA A FINIRE MALE 

Le controversie nel mondo del lavoro si stanno incanagliendo sempre più; i lavoratori messi in mezzo ad una strada sono sempre di più – nonostante le semplificazioni della lettura dei dati che ci viene fornita – e la reazione di queste persone sfocia sempre più spesso in atti di violenza che fanno del male prima di tutto a loro e poi anche agli altri.
Una classe imprenditoriale che è stata abituata a fare il proprio comodo ed a “creare” le condizioni di licenziamento per approfittare della situazione e ricondurre la gestione della fabbrica su una linea puramente finanziaria, non è certamente in grado di gestire una crisi come quella che si sta sviluppando ormai da tempo nel mondo intero; infatti, degli atti di violenza non si sono avuti sono in Italia ma anche in altri Paesi europei, a dimostrazione della “globalizzazione” della situazione.
Già, la globalizzazione, quel complesso di situazioni che non è partito nel secolo attuale, ma che possiamo far risalire alla rivoluzione industriale dell’Inghilterra (metà del XVIII secolo) e che ha sostituito il “capitalismo commerciale”, come lo definiva Marx, con quello industriale, la cui differenza è che mentre il primo operava su una domanda di beni e servizi già esistente, il secondo scopre la pazzesca formula dell’offerta che crea la domanda, intendendo con questo la necessità di indirizzare, dirigere, tutti gli esseri umani a diventare una nuovissima categoria: “i consumatori”, coloro cioè che “devono” per forza incrementare i propri acquisti, pena il blocco del sistema ed il deragliamento del treno sul quale viaggiamo tutti noi.
Insomma, siamo arrivati al punto in cui vengono fuori tutti gli aspetti negativi, degenerativi di quello che alcuni definiscono “il modello paranoico dell’attuale economia” con l’uomo che anziché essere al centro dell’Universo è sempre più coartato a produrre con ritmo incalzante e scarsamente sostenibile, quei beni che poi lo stesso uomo “è costretto” ad acquistare; e questi beni devono costare sempre qualcosa in meno per invogliare “il consumatore” ad acquistarli, ma non ci si avvede che le due figure – chi produce e chi acquista – sono la stessa persona e da qui nasce la paranoia insita nel sistema.
Per cui, posso (anzi voglio) affermare che la globalizzazione non ha reso l’uomo più felice e non lo farà neppure in futuro; ma poi, dobbiamo aggiungere che qualunque sassolino che si frappone nell’ingranaggio produzione/consumo, crea dei forti squilibri e delle enormi infelicità; l’uomo continua a produrre ma non è più in grado di consumare perché il sistema lo ha espulso e lo ha messo in mezzo ad una strada.
Ed anche se già da tempo esistono dei pacchetti di diritti sociali (comunque parziali e limitati nel tempo), l’essere collocato al di fuori del processo produttivo pone l’uomo in una situazione fortemente paranoica; ed a questo la politica, con le sue istituzioni risponde che non è compito suo e neppure dell’economia garantire certe condizioni di lavoro e che in un mondo come quello attuale, le aziende si spostano laddove il costo del lavoro è inferiore, abbandonando le vecchie e gloriose strutture al loro destino (se non si fosse capito, alludo alla vicenda FIAT che ha paventato lo spostamento di alcune lavorazioni da Torino alla Serbia).
Se questa non è la riprova che la globalizzazione genera infelicità, non so cos’altro potrei indicare ai miei lettori; forse il fatto che questo sistema economico/produttivo ha distrutto le realtà e le aspettative delle masse del Terzo Mondo che quindi si muovono in un tragico esodo verso occidente, dove trovano ad attenderli soltanto umiliazioni e cattiverie; vi basta per chiedere: “fermate il Mondo, voglio scendere”??

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