mercoledì, luglio 28, 2010
INTERCETTAZIONI & CO.
La legge sulla limitazione ed il controllo della pubblicazione delle intercettazioni sta continuando il suo iter in Parlamento e vede continuamente modifiche che, in pratica, la renderanno assolutamente inefficace; mi dispiace moltissimo pensarla allo stesso modo del premier Berlusconi, ma se vorrete continuare la lettura di questo scritto, vedrete che la differenza esiste ed è molto importante.
Al momento, le modifiche si sono assestate in un paio di concetti che vale la pena riepilogare: eliminata la responsabilità degli editori in tutti i casi di pubblicazione di intercettazioni “rilevanti” ma coperte da segreto; la pubblicabilità delle intercettazioni considerate rilevanti verrà valutata in un’udienza con GIP, accusa e difesa.
E adesso voglio esporre il mio modesto pensiero: nessuna limitazione alle intercettazioni disposte dal magistrato sulla base di indicazioni di reati, mentre per la loro pubblicazione non ne vedo la necessità, dato che questo sistema ha preso il posto dell’udienza penale ed è attraverso la stampa che si stabilisce il reo o l’innocente.
A titolo di esempio, vorrei citare una conversazione pubblicata da tutti i giornali in piena “calciopoli”, nella quale il figlio di Moggi, parlava con un amico – estraneo al procedimento – e gli raccontava del proprio rammarico per avere organizzato una gita a Londra con Ilaria D’Amico (la giornalista sportiva) con l’intento di portarsela a letto: “ho predisposto tutto, l’aereo privato, l’albergo e la cena romantica, ma lei, al momento topico si è tirata indietro ed è andata a dormire nella sua stanza”.
Non credo che la signora D’Amico e neppure il di lei coniuge, saranno rimasti soddisfatti della cosa, ma non hanno nessun modo di procedere verso coloro che hanno pubblicato la conversazione, nella quale la donna appare solo come “nominata”.
Se ci fosse stata una norma che vietava questa pubblicazione, poteva adire le vie legali e guadagnare tanti soldi facendo causa a molti direttori ed editori di giornali.
Qualcuno di voi forse ricorda il film tratto dallo scandalo Watergate “Tutti gli uomini del presidente”, nel quale i due reporter del Washington Post, dopo numerose e raffinatissime indagini, riescono a ricostruire la storia dell’operato del Presidente Nixon e si presentano trionfanti al proprio Direttore per comunicargli la grande notizia; la sua risposta è semplice: “avete una sola fonte di queste notizie?”, alla risposta affermativa, dei due giovani, il direttore li rimanda indietro intimando loro di trovarne almeno un’altra, altrimenti “mi mangiano la liquidazione e l’intera pensione”.
Tutto questo in Italia non avviene, in quanto sono gli stessi magistrati a fornire le intercettazioni e quindi non possono certo condannare eventuali richieste di danni morali e materiali; insomma, quello che mi preme riaffermare è che le intercettazioni vanno benissimo, mentre quello che proprio non va bene è “fare i processi a mezzo stampa” e condannare o assolvere molto tempo prima che si vada in aula.
L’ultimo caso – in ordine di tempo – è quello mediaticamente definito della P3: per esplicita ammissione di uno della autorevolezza del Procuratore Antimafia Piero Grasso, ad oggi i magistrati che indagano (o meglio intercettano) sulla vicenda P3 non sono riusciti ad individuare un solo reato da contestare all’odiosa cricca degli affaristi e dei politici coinvolti e quindi sono stati costretti a riesumare la legge Anselmi fatta all’epoca di Gelli e pur di incriminarli e tenerli in gattabuia o comunque sulla graticola, li hanno accusati di “associazione segreta”, un reato talmente evanescente, in base al quale non riuscirono a condannare neppure il gran sacerdote della P2, Licio Gelli, figuriamoci questi quattro scalcagnati. Chiaro il concetto??
Al momento, le modifiche si sono assestate in un paio di concetti che vale la pena riepilogare: eliminata la responsabilità degli editori in tutti i casi di pubblicazione di intercettazioni “rilevanti” ma coperte da segreto; la pubblicabilità delle intercettazioni considerate rilevanti verrà valutata in un’udienza con GIP, accusa e difesa.
E adesso voglio esporre il mio modesto pensiero: nessuna limitazione alle intercettazioni disposte dal magistrato sulla base di indicazioni di reati, mentre per la loro pubblicazione non ne vedo la necessità, dato che questo sistema ha preso il posto dell’udienza penale ed è attraverso la stampa che si stabilisce il reo o l’innocente.
A titolo di esempio, vorrei citare una conversazione pubblicata da tutti i giornali in piena “calciopoli”, nella quale il figlio di Moggi, parlava con un amico – estraneo al procedimento – e gli raccontava del proprio rammarico per avere organizzato una gita a Londra con Ilaria D’Amico (la giornalista sportiva) con l’intento di portarsela a letto: “ho predisposto tutto, l’aereo privato, l’albergo e la cena romantica, ma lei, al momento topico si è tirata indietro ed è andata a dormire nella sua stanza”.
Non credo che la signora D’Amico e neppure il di lei coniuge, saranno rimasti soddisfatti della cosa, ma non hanno nessun modo di procedere verso coloro che hanno pubblicato la conversazione, nella quale la donna appare solo come “nominata”.
Se ci fosse stata una norma che vietava questa pubblicazione, poteva adire le vie legali e guadagnare tanti soldi facendo causa a molti direttori ed editori di giornali.
Qualcuno di voi forse ricorda il film tratto dallo scandalo Watergate “Tutti gli uomini del presidente”, nel quale i due reporter del Washington Post, dopo numerose e raffinatissime indagini, riescono a ricostruire la storia dell’operato del Presidente Nixon e si presentano trionfanti al proprio Direttore per comunicargli la grande notizia; la sua risposta è semplice: “avete una sola fonte di queste notizie?”, alla risposta affermativa, dei due giovani, il direttore li rimanda indietro intimando loro di trovarne almeno un’altra, altrimenti “mi mangiano la liquidazione e l’intera pensione”.
Tutto questo in Italia non avviene, in quanto sono gli stessi magistrati a fornire le intercettazioni e quindi non possono certo condannare eventuali richieste di danni morali e materiali; insomma, quello che mi preme riaffermare è che le intercettazioni vanno benissimo, mentre quello che proprio non va bene è “fare i processi a mezzo stampa” e condannare o assolvere molto tempo prima che si vada in aula.
L’ultimo caso – in ordine di tempo – è quello mediaticamente definito della P3: per esplicita ammissione di uno della autorevolezza del Procuratore Antimafia Piero Grasso, ad oggi i magistrati che indagano (o meglio intercettano) sulla vicenda P3 non sono riusciti ad individuare un solo reato da contestare all’odiosa cricca degli affaristi e dei politici coinvolti e quindi sono stati costretti a riesumare la legge Anselmi fatta all’epoca di Gelli e pur di incriminarli e tenerli in gattabuia o comunque sulla graticola, li hanno accusati di “associazione segreta”, un reato talmente evanescente, in base al quale non riuscirono a condannare neppure il gran sacerdote della P2, Licio Gelli, figuriamoci questi quattro scalcagnati. Chiaro il concetto??