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giovedì, giugno 24, 2010

POMIGLIANO: IL GIORNO DOPO 

Detto in soldoni, il risultato del referendum che si è tenuto allo stabilimento FIAT di Pomigliano è stato di due terzi favorevoli all’accettazione delle condizioni poste da Marchionne e di un terzo contrario; il primo commento – non ufficiale – proveniente dalla casa torinese è stato “lavoreremo solo con chi ci sta”.
Il che, a ben guardare, non vuol dire niente: non si capisce infatti come il bravo Marchionne possa individuare i “buoni” e allontanarli dai “cattivi”, anche e soprattutto tenendo presente che l’abitudine all’assenteismo pretestuoso è difficile da sradicare e quindi c’è da supporre che anche tra coloro che hanno votato “si” figurino lavoratori che si sono così espressi non per convinzione ma per semplice (e comprensibile) calcolo, e quindi faranno in tempo a squagliarsi al momento buono, quando cioè dovranno “comportarsi” sulla base dell’accordo raggiunto.
Da molte parti si accenna alla presenza in casa FIAT di un “piano C”, consistente nel chiudere Pomigliano e riaprirlo sotto una nuova ragione sociale, riassumendo solo coloro che stanno simpatici all’azienda; non mi sembra un’ipotesi attuabile, stante che la chiusura di uno stabilimento – tranne che in caso di fallimento – non è una cosa tanto facile da attuare ed anche la “scelta” di coloro con cui lavorare non riesco a capire come si possa realizzare.
Ma per cercare di comprendere appieno il problema, bisogna – a mio avviso – riprendere dall’inizio: perché Marchionne se ne è uscito con l’ipotesi di togliere alla fabbrica polacca la messa in produzione della nuova Panda ed affidarla a Pomigliano? È bene aggiungere che sotto il profilo della convenienza – in chiave globalizzazione – la fabbrica polacca è senz’altro la migliore soluzione in quanto l’attuale sistema produttivo della fabbrica campana non è per niente competitivo sul mercato della produzione moderna delle auto.
E allora? Se Pomigliano non è in grado di reggere il confronto con le altre strutture straniere, l’unica conclusione logica sarebbe quella di chiuderla, ma nel fare questo la FIAT sa bene che avrebbe contro lo Stato – che per ora non si è esposto – in quanto la zona verrebbe “restituita” alla camorra e questo farebbe pagare un prezzo altissimo sul piano sociale.
Ma se la produzione a Pomigliano non è competitiva come può fare la FIAT a continuare a fabbricare auto in quel contesto? Semplice! Basterebbe che lo Stato – “in qualche modo” – facesse digerire alla FIAT questa situazione anomala mettendo a disposizione altri soldi con la causale “per l’industrializzazione del mezzogiorno” e quindi l’intervento statale servirebbe a correggere le anomalie dell’assenteismo pretestuoso presente in molte aziende del Sud.
Ma l’Europa potrebbe tollerare questa forma di assistenza – più o meno marcata – proprio nel settore che gode di “incentivi” ed altre forme di aiuto mal tollerati a Bruxelles? Forse sarebbe difficile farlo digerire, ma anche cinquemila lavoratori della fabbrica di Pomigliano che si riversano per le strade sarebbe un problema intollerabile.
Il risultato del referendum non ha tolto le castagne dal fuoco e quindi Marchionne, che aveva sperato di ottenere un risultato più netto – in un senso o nell’altro – si trova a metà di un guado tra le esigenze della produzione e le pressioni governative di carattere sociale. Insomma, il pensiero di Marchionne potrebbe essere questo: se il governo vuole tenere in piedi una situazione che non ha fondamento sul piano industriale, in un modo o nell’altro dovrà accollarsene i costi; chiaro il concetto??

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