mercoledì, giugno 16, 2010
COSA C'E' SOTTO?
Mi riferisco alla vicenda dello stabilimento FIAT di Pomigliano, dove l’azienda torinese ha proposto un contratto particolare in vista della ripresa della lavorazione della Panda, fino ad ora svolta nella fabbrica polacca.
Il discorso della FIAT è semplicissimo: noi riportiamo in Italia la linea produttiva della Panda (caso unico nel mondo industriale di una fabbrica che “rientra” in Italia), investiamo la bellezza di 700milioni di euro per l’approntamento delle catene di montaggio, a patto che il modello lavorativo cambi radicalmente: lavoro su sei giorni con tre turni di otto ore al giorno, disponibilità a 80 ore annuali di lavoro straordinario, abolizione dell’indennità di malattia al raggiungimento di un certo tasso di assenteismo e divieto di proclamare scioperi nel turno del sabato notte; questi i principali, ma ne ce sono altri che vanno nella stessa linea.
Ma perché una “rivoluzione” di questo tipo viene effettuata in uno stabilimento “particolare” come quello campano? Non ci dimentichiamo che sono fiorite delle leggende sull’assenteismo, principalmente dovuto a motivi familiari (gli operai dovevano seguire i ritmi stagionali dei campi) e successivamente a ragioni politiche e sindacali (un terzo dei dipendenti si assentava per seguire lo spoglio di ogni elezione, dalla più importante alla più locale); mi si perdoni, ma ho ancora in mente il “rimprovero” rivolto al suo benefattore politico da un operaio assunto in fabbrica: “onorevole, io le avevo chiesto uno stipendio, mica un posto di lavoro!!”.
Queste cose Marchionne le conosce benissimo, molto meglio di me, eppure ha impostato questa operazione rivoluzionaria proprio in quello stabilimento; il modello di fondo è quello di creare una fabbrica il più possibile snella in cui si porta al minimo l’incidenza delle scorte e dei tempi di produzione, andando a caccia degli sprechi in qualunque fase del lavoro; in sostanza una rivoluzione del sistema “fabbrica” che si realizza rivoltando come un calzino proprio la fabbrica; esempio da imitare la Toyota, dove sembra che ci sia il miglior sistema di produzione del mondo.
Ma torno a ripetere: perché il primo esperimento del genere viene tentato in una fabbrica del sud, capofila per assenteismo e sprechi di produzione?
I motivi possono essere due: il primo è quello di sperimentare in una situazione di oggettiva difficoltà e quindi di poter dire che “se funziona a Pomigliano può funzionare ovunque”; il secondo, più sottile, è quello di tentare questa rivoluzione in un luogo dove non funzionerà e quindi poter dire che “la fabbrica ideale non si può fare in Italia ma dobbiamo farla per forza in Polonia o in qualche altro posto all’estero”.
Che dite: penso male e quindi faccio peccato ma ci indovino? È probabile, ma la cosa mi incuriosisce e quindi – a parte le risultanze delle lotte tra sindacati – sono curioso di vedere come va a finire.
A proposito di assenteismo: sapete quanti deputati c’erano alla Camera durante la partita dell’Italia contro il Paraguay? Quattro! Forse vale la pena anche citarli per nome, cognome e partito di appartenenza: Roberto Giachetti (PD), Donato Bruno (PDL), Amedeo Ciccanti (UDC), nonché il ministro Calderoli (Lega Nord); possiamo dire che l’arco costituzionale era interamente rappresentato, anche se mancava un membro dell’Italia dei Valori (anche Di Pietro assenteista?).
Di cosa si stava discutendo? L’argomento mi sembra di una certa importanza: la Carta delle Autonomie, nel contesto della riforma federalista. Per la verità, ai pochi presenti, veniva continuamente rivolto l’invito a “fare presto”: comprensibilissimo!!
Il discorso della FIAT è semplicissimo: noi riportiamo in Italia la linea produttiva della Panda (caso unico nel mondo industriale di una fabbrica che “rientra” in Italia), investiamo la bellezza di 700milioni di euro per l’approntamento delle catene di montaggio, a patto che il modello lavorativo cambi radicalmente: lavoro su sei giorni con tre turni di otto ore al giorno, disponibilità a 80 ore annuali di lavoro straordinario, abolizione dell’indennità di malattia al raggiungimento di un certo tasso di assenteismo e divieto di proclamare scioperi nel turno del sabato notte; questi i principali, ma ne ce sono altri che vanno nella stessa linea.
Ma perché una “rivoluzione” di questo tipo viene effettuata in uno stabilimento “particolare” come quello campano? Non ci dimentichiamo che sono fiorite delle leggende sull’assenteismo, principalmente dovuto a motivi familiari (gli operai dovevano seguire i ritmi stagionali dei campi) e successivamente a ragioni politiche e sindacali (un terzo dei dipendenti si assentava per seguire lo spoglio di ogni elezione, dalla più importante alla più locale); mi si perdoni, ma ho ancora in mente il “rimprovero” rivolto al suo benefattore politico da un operaio assunto in fabbrica: “onorevole, io le avevo chiesto uno stipendio, mica un posto di lavoro!!”.
Queste cose Marchionne le conosce benissimo, molto meglio di me, eppure ha impostato questa operazione rivoluzionaria proprio in quello stabilimento; il modello di fondo è quello di creare una fabbrica il più possibile snella in cui si porta al minimo l’incidenza delle scorte e dei tempi di produzione, andando a caccia degli sprechi in qualunque fase del lavoro; in sostanza una rivoluzione del sistema “fabbrica” che si realizza rivoltando come un calzino proprio la fabbrica; esempio da imitare la Toyota, dove sembra che ci sia il miglior sistema di produzione del mondo.
Ma torno a ripetere: perché il primo esperimento del genere viene tentato in una fabbrica del sud, capofila per assenteismo e sprechi di produzione?
I motivi possono essere due: il primo è quello di sperimentare in una situazione di oggettiva difficoltà e quindi di poter dire che “se funziona a Pomigliano può funzionare ovunque”; il secondo, più sottile, è quello di tentare questa rivoluzione in un luogo dove non funzionerà e quindi poter dire che “la fabbrica ideale non si può fare in Italia ma dobbiamo farla per forza in Polonia o in qualche altro posto all’estero”.
Che dite: penso male e quindi faccio peccato ma ci indovino? È probabile, ma la cosa mi incuriosisce e quindi – a parte le risultanze delle lotte tra sindacati – sono curioso di vedere come va a finire.
A proposito di assenteismo: sapete quanti deputati c’erano alla Camera durante la partita dell’Italia contro il Paraguay? Quattro! Forse vale la pena anche citarli per nome, cognome e partito di appartenenza: Roberto Giachetti (PD), Donato Bruno (PDL), Amedeo Ciccanti (UDC), nonché il ministro Calderoli (Lega Nord); possiamo dire che l’arco costituzionale era interamente rappresentato, anche se mancava un membro dell’Italia dei Valori (anche Di Pietro assenteista?).
Di cosa si stava discutendo? L’argomento mi sembra di una certa importanza: la Carta delle Autonomie, nel contesto della riforma federalista. Per la verità, ai pochi presenti, veniva continuamente rivolto l’invito a “fare presto”: comprensibilissimo!!