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venerdì, aprile 09, 2010

LA MORTE 

L’idea di scrivere sulla morte mi è forse venuta tornando dal funerale di un amico, più giovane di me, con il quale abbiamo cominciato – tanti anni fa – ad interessarci di cinema; lui prete ed io laico peccatore, ma ognuno rispettoso dell’altrui condizione.
Ci sono poi state in questi ultimi giorni un paio di morti che mi hanno colpito: Maurizio Mosca, giornalista televisivo, bonario, attento a seguire la moda dell’urlo quando è servito, ma rispettoso della sua provenienza: il padre, Giovanni, è stato un grande umorista e giornalista ed il fratello, Paolo, è un buonissimo scrittore; l’altra morte è quella del giudice Santi Licheni che, dal 1985, dopo essere andato in pensione dalla Magistratura con il ruolo di Presidente di Cassazione, si è infilato in quella gabbia di matti che è la trasmissione “Forum” e gli ha dato, oltre alla sua indubbia sapienza giuridica, anche quella bonomia e spirito di leggerezza che il programma richiedeva.
Mi viene ora di chiedere se la morte è random, cioè casuale, a casaccio, oppure se l’Architetto supremo, il Biologo massimo, insomma, quell’autorità che decide le cose superiori, stabilisce una sorta di scadenza per ognuno di noi e questa data viene rispettata qualunque cosa uno stia facendo.
Non è facile rispondere, ma certamente la civiltà, da quando ha cominciato a chiamarsi con questo nome, ha avuto sempre il problema della morte e lo ha affrontato in un modo semplicissimo: rimuovendolo; abituati come siamo a dominare la natura in ogni suo aspetto, non siano più in grado di accettare quelli che i filosofi hanno chiamato “i nuclei tragici dell’esistenza”: il dolore, la malattia, la vecchiaia e la morte, intesa ovviamente nel solo senso biologico, perché quella “violenta” possiamo sempre sperare di evitarla, ma quella biologica no, è inevitabile.
Poi l’uomo ha abbandonato, in gran parte, la campagna per andare ad inurbarsi, ed è venuto in contatto solo con oggetti che non si riproducono ma semmai si rompono e vengono sostituiti ed alla cui sorte si è sentito sinistramente omologo.
L’uomo, da molto tempo, ha perduto il senso del “destino collettivo”, tipico delle civiltà precedenti alla nostra (industriale), e quindi sente la morte come un evento esclusivamente individuale, definitivo, assoluto e pertanto totalmente inaccettabile.
Ma torniamo alla domanda iniziale: quel “Qualcuno” che sceglie chi far morire, usa un criterio random, cioè “a casaccio”, oppure, in un certo senso, pianifica l’uscita da questa valle di lacrime? La domanda, nella sua assurdità (non può avere risposta) ha un suo fascino ed un suo interesse; infatti, se la morte di ciascun individuo è casuale ne discende che è casuale anche la prassi che viene seguita “per arrivare alla morte” (cioè un colpo secco o una lunga malattia), ma se è pianificata possiamo dire la nostra su questa forma di scelta; per esempio, perché far morire Mozart a soli 35 anni e lasciare in vita altri suoi coevi “improduttivi” fino a tarda età?
Mi sembra chiaro che dobbiamo augurarci la casualità dell’evento finale, altrimenti si entra nel discorso “perché a me e non a lui” e allora non si vorrebbe mai morire; ma ricordiamocelo sempre: se nessuno muore, questo nostro Mondo non può andare avanti, poiché non può accogliere più persone di quanti già siamo e quindi dobbiamo accettare il naturale, fisiologico “ricambio”, operazione che può realizzarsi soltanto con la dipartita da questa terra di qualcuno di noi; chi? “A casaccio!!”
Per concludere, io voto per la soluzione random, con l’intesa che la finalità dell’evento è volta a far proseguire la specie; coloro che mi stanno leggendo è inutile che facciano i consueti scongiuri o, peggio ancora, “si tocchino”: non serve a niente! Chiaro??

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