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venerdì, marzo 12, 2010

L’OSSESSIONE DELLA “DIVERSITǍ” 

La Biblioteca di Via del Senato di Milano ha messo a segno un bel colpo, acquisendo trecento preziosi faldoni contenenti una miniera di carte da cui estrarre, catalogare e studiare attentamente, manoscritti di poesie, dattiloscritti di interi romanzi e una quantità notevolissima di lettere – spedite e ricevute – cartoline illustrate e fotografie di vari soggetti: il tutto opera di Curzio Malaparte.
Forse non tutti sanno che il nome Curzio Malaparte è uno pseudonimo usato dallo scrittore pratese in sostituzione del suo nome “vero”: Kurt Enrich Suckert data la paternità tedesca; lo pseudonimo proviene da un panphlet letterario che Curzio amava, “Malaparte e i Bonaparte” e possiamo aggiungere che il suo pseudonimo è quanto mai azzeccato, perché egli cambiò “parte” varie volte nella sua vita, purtroppo breve: nato nel 1898 e morto nel 1957 a soli 59 anni.
Dicevo che Malaparte cambiò spesso schieramento, sia politico che etico, tanto che molti lo considerarono un autentico “voltagabbana”: dal repubblicanesimo al fascismo per poi proseguire con l’antifascismo ed il comunismo e concludersi con la conversione al cattolicesimo.
Personaggio estremamente complesso, come solo la persona intelligente sa esserlo, mostrò incoerenza e stravaganze, ma allo stesso tempo fu dotato di una notevole logica e di una grande passione che esplicava attraverso gesti paradossali e bizzarri, come sono tutti i “maledetti toscani” (già, questa specie di etichetta è merito suo).
Nel 1931, Malaparte pubblica in Francia uno dei suoi libri più celebri: “Tecnica del colpo di stato”, in cui l’autore attacca pesantemente sia Hitler che Mussolini; questi attacchi gli varranno cinque anni di confino sull’Isola di Lipari; sia la sinistra che la destra considerarono il libro come un invito ad una conquista violenta del potere attraverso il rovesciamento dello Stato, mentre Malaparte, nella prefazione all’edizione italiana pubblicata nel 1948, sostiene che fosse soltanto un’analisi tecnica per la difesa dello Stato.
Mentre era in esilio, poté ritornare alla scrittura grazie ad un intervento di Galeazzo Ciano e lavorò come inviato del “Corriere della Sera”; possiamo quindi affermare che Malaparte sia stato scrittore ma anche giornalista ed in entrambe le professioni si sia mostrato sempre e comunque libero, con una libertà di pensiero e di espressione che gli avrebbe permesso di arrivare alla verità, sia quella della letteratura che quella della cronaca. La critica letteraria italiana ha cominciato da non molto a considerare Malaparte un “grande autore”, anche sulla scorta di analoghe considerazioni provenienti dall’estero: Milan Kundera parla senza mezzi termini di capolavoro a proposito di “Kaputt” ed è una delle tante citazioni favorevoli.
Non ho le capacità e neppure lo spazio per proseguire in una analisi della produzione letteraria di Malaparte e quindi mi limito all’analisi del personaggio e mi piace riportare una dichiarazione di Igor Man che conobbe Curzio quando stava male e si recò a visitarlo, sentendosi apostrofare così: “Non fare il bischero. Quando si sta bene si piange meglio. Ora che sto male, e male assai con questa tbc che mi mangia vivo, ora, credimi è più difficile». «Più difficile cosa?» «Piangere e pregare “ disse. E con questo “spiritaccio” si convertì e affrontò la morte e – tanto per rimanere fedele al “suo personaggio” di stravagante – lasciò la sua splendida villa di Anacapri al governo della Repubblica Popolare Cinese: insomma, dopo aver lavorato tanto per costruire la sua “diversità”, non poteva certo rientrare nella norma neppure trattandosi della sua morte.

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