martedì, marzo 02, 2010
LA DITTATURA DEL CAPITALISMO
Il titolo non è farina del mio sacco ma ricalca quello dell’ultimo libro di Edward N. Luttwark, un autore che non può essere certo considerato di simpatie sinistrorse e neppure di essere un antiliberismo.
Eppure nel suo libro si ritrova un feroce attacco all’odierna situazione che ha prodotto un forte eccesso della globalizzazione e della pratica definita del “turbocapitalismo”, il tutto ben diversamente da come era stato regolamentato da norme internazionali e da reciproci controlli che supervisionavano l’economia mondiale dalla fine della seconda guerra mondiale: mi riferisco in particolare alla funzione del WTO, l’organizzazione del commercio mondiale, che, al momento, pare svuotata di qualunque funzione pratica ed operativa. C’è da aggiungere che uno dei pochi politologi italiani preso in considerazione da Luttwark, il fiorentino Marco Tarchi, rincara la dose, denunziando addirittura il pericolo di un “totalitarismo liberista”, espressione che potrebbe sembrare un ossimoro ma in realtà, se guardiamo le cose nel loro giusto verso, non lo è affatto e fotografa la situazione del pianeta in presenza della famigerata globalizzazione.
Anche se ne parliamo solo da una quindicina d’anni, il processo di globalizzazione, cioè l’omologazione dell’intero pianeta ad un unico modello economico, ha radici ben più lontane nel tempo, vale a dire a metà del XVIII secolo, quando – a seguito della Rivoluzione Industriale partita dall’Inghilterra, il vecchio “capitalismo commerciale” (definizione di Marx) viene sostituito da quello industriale.
Fra i due, la vera differenza “sostanziale” è che il primo opera su una “domanda” che c’è già, e quindi basta assecondare il trasferimento di beni, mentre nel secondo non ci limitiamo a trasferire beni ma questi vengono “creati” e, una volta creati devono essere venduti e quindi si scopre la pazzesca legge per la quale “è l’offerta che crea la domanda” e si scopre che i bisogni possono essere eterodiretti, suscitati artificialmente dall’esterno, insomma nasce il “consumatore” con la sua natura illimitata di bisogni.
Oltre ad esasperare la competizione in Occidente, accentuando gli aspetti negativi di quello che viene definito il modello paranoico (subordinazione dell’uomo ai modelli produttivi), la globalizzazione sta distruggendo le realtà delle popolazioni del Terzo Mondo, costringendole ad uscire dalle loro economie di sussistenze per entrare nel “mercato globale”, dove perdono la loro identità collettiva e risultano inevitabilmente soccombenti ai modelli occidentali. E dire che il fenomeno è considerato irreversibile da tutte le élites (liberali e marxiste) che affermano che “la mondializzazione è un fatto e non una scelta politica” e così si sono messi l’animo in pace.
Per guidare questo esercito di “schiavi della spesa compulsiva”, esiste in Olanda l’Hotel Bilderberg (che ha originato anche il titolo di un libro di Estulin) che dal 1954 ospita periodicamente delle riunioni di un gruppo di persone senza dubbio interessanti e sicuramente “eccellenti” (politici, finanzieri, imprenditori, tecnocrati); ad oggi le riunioni sono state 57, grosso modo una l’anno, ciascuna di 3 o 4 giorni: questi sarebbero i cosiddetti “grandi vecchi” che terrebbero in mano le fila dell’economia dell’Universo e che sono senz’altro più potenti di qualunque equipe di governo.
E se mi date per buona la veridicità di questo “club”, dovete anche ammettere che il caos che periodicamente si registra nel mondo della finanza è più apparente che reale e che quindi alla base di ogni situazione, c’è una regia, una specie di “governance” e quindi possiamo dire – parafrasando l’Amleto di Shakespeare – “c’è del metodo in questa follia”, il metodo Bilderberg, appunto!!. Chiaro il concetto??.
Eppure nel suo libro si ritrova un feroce attacco all’odierna situazione che ha prodotto un forte eccesso della globalizzazione e della pratica definita del “turbocapitalismo”, il tutto ben diversamente da come era stato regolamentato da norme internazionali e da reciproci controlli che supervisionavano l’economia mondiale dalla fine della seconda guerra mondiale: mi riferisco in particolare alla funzione del WTO, l’organizzazione del commercio mondiale, che, al momento, pare svuotata di qualunque funzione pratica ed operativa. C’è da aggiungere che uno dei pochi politologi italiani preso in considerazione da Luttwark, il fiorentino Marco Tarchi, rincara la dose, denunziando addirittura il pericolo di un “totalitarismo liberista”, espressione che potrebbe sembrare un ossimoro ma in realtà, se guardiamo le cose nel loro giusto verso, non lo è affatto e fotografa la situazione del pianeta in presenza della famigerata globalizzazione.
Anche se ne parliamo solo da una quindicina d’anni, il processo di globalizzazione, cioè l’omologazione dell’intero pianeta ad un unico modello economico, ha radici ben più lontane nel tempo, vale a dire a metà del XVIII secolo, quando – a seguito della Rivoluzione Industriale partita dall’Inghilterra, il vecchio “capitalismo commerciale” (definizione di Marx) viene sostituito da quello industriale.
Fra i due, la vera differenza “sostanziale” è che il primo opera su una “domanda” che c’è già, e quindi basta assecondare il trasferimento di beni, mentre nel secondo non ci limitiamo a trasferire beni ma questi vengono “creati” e, una volta creati devono essere venduti e quindi si scopre la pazzesca legge per la quale “è l’offerta che crea la domanda” e si scopre che i bisogni possono essere eterodiretti, suscitati artificialmente dall’esterno, insomma nasce il “consumatore” con la sua natura illimitata di bisogni.
Oltre ad esasperare la competizione in Occidente, accentuando gli aspetti negativi di quello che viene definito il modello paranoico (subordinazione dell’uomo ai modelli produttivi), la globalizzazione sta distruggendo le realtà delle popolazioni del Terzo Mondo, costringendole ad uscire dalle loro economie di sussistenze per entrare nel “mercato globale”, dove perdono la loro identità collettiva e risultano inevitabilmente soccombenti ai modelli occidentali. E dire che il fenomeno è considerato irreversibile da tutte le élites (liberali e marxiste) che affermano che “la mondializzazione è un fatto e non una scelta politica” e così si sono messi l’animo in pace.
Per guidare questo esercito di “schiavi della spesa compulsiva”, esiste in Olanda l’Hotel Bilderberg (che ha originato anche il titolo di un libro di Estulin) che dal 1954 ospita periodicamente delle riunioni di un gruppo di persone senza dubbio interessanti e sicuramente “eccellenti” (politici, finanzieri, imprenditori, tecnocrati); ad oggi le riunioni sono state 57, grosso modo una l’anno, ciascuna di 3 o 4 giorni: questi sarebbero i cosiddetti “grandi vecchi” che terrebbero in mano le fila dell’economia dell’Universo e che sono senz’altro più potenti di qualunque equipe di governo.
E se mi date per buona la veridicità di questo “club”, dovete anche ammettere che il caos che periodicamente si registra nel mondo della finanza è più apparente che reale e che quindi alla base di ogni situazione, c’è una regia, una specie di “governance” e quindi possiamo dire – parafrasando l’Amleto di Shakespeare – “c’è del metodo in questa follia”, il metodo Bilderberg, appunto!!. Chiaro il concetto??.