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sabato, ottobre 31, 2009

PRETI 

Prendo in prestito il titolo di questo post dall’ultimo libro del celebre psichiatra Vittorino Andreoli – che sto leggendo e che mi ha dato “la voglia” di occuparmi di questo argomento – per riferirmi ad un episodio accaduto nella mia città, dove un prete, Don Santoro, ha sposato due persone: lei – che chiameremo Stella – è nata uomo e, dopo un intervento apposito, è diventata donna e si è unita in matrimonio civile in Comune, dove appunto risulta essere “donna”; a compimento dell’operazione, il nostro prete ha pensato – dopo lunghe e sofferte considerazioni - di completare l’unione con un “regolare” matrimonio religioso: in conclusione c’è stata l’arrabbiatura dell’Arcivescovo, che peraltro aveva già avvertito il prete di non procedere oltre, e la sospensione di Don Santoro, per un periodo di preghiera e di meditazione.
Quindi il problema è questo: la signora Stella (è un nome di comodo) è donna in Comune e uomo in Chiesa e pertanto ognuno delle due istituzioni si comporta di conseguenza; potremmo dire che entrambi hanno ragione – anche se non si comprende la diversità con cui è considerata la donna/uomo – ma bisogna vedere che cosa si intende per Chiesa, cioè se è l’Arcivescovo che la rappresenta oppure la comunità che segue Don Santoro. In ogni caso, la prima considerazione da fare è che le due strutture – Comune e Chiesa – dovrebbero trovare un comune denominatore per risolvere questi casi, anche perché non ci dimentichiamo che per il “Concordato mussoliniano”, il prete , quando sposa, è anche funzionario dello Stato Civile; quindi….
Per la verità, tutti mi sembra concordino nell’affermare che “la ragione delle carte”, cioè la normativa ecclesiastica, dà torto a Don Santoro, ma in questo momento un po’ particolare, le norme sono lì proprio per essere disattese e questo è il vero atto “rivoluzionario” con il quale la gente crede di cambiare il mondo: beata illusione!!
Ma andiamo avanti e notiamo che la comunità che sta attorno a Don Santoro è particolarmente agitata e furente contro l’Arcivescovo (sit in, veglie, petizioni e altro); ecco, questo è proprio ciò di cui il prete non ha bisogno; infatti non deve lasciarsi condizionare da queste sollecitazioni e ricordarsi che il sacerdote “non” appartiene a questo o a quel gruppo, ma all’intera Chiesa universale.
Se poi consideriamo che la vicenda si svolge a Firenze – nota per schierarsi sempre tra “guelfi” e “ghibellini” – è naturale che il prete sia considerato “di sinistra” perché schierato con gli “ultimi”, mentre l’Arcivescovo, quale rappresentante di un potere terreno (e non religioso!!) viene etichettato “di destra”.
Sempre dal libro di Andreoli di cui faccio cenno all’inizio, riprendo un concetto che accenna a come il prete, nel rispondere alla “vocazione” (dal latino vocare, cioè chiamare) sa a priori cosa lo aspetta: obbedienza, carità e castità; questi tre aspetti del sacerdozio dovrebbero essere altrettante stelle comete nel cammino del prete, il quale dopo l’avvenuta unzione e la chiamata a incarichi pastorali, non può dire “ora faccio quello che voglio e rispondo di questo solo a Dio”. La Chiesa ha il diritto di avere le sue regole e chi si unisce ad essa con libera scelta deve accoglierle con ubbidienza ed umiltà e non fare operazioni che contrastano con tale scelta; in caso contrario vuol dire che la scelta iniziale non era sufficientemente ponderata e quindi mi sembra giusto il “periodo di riflessione e preghiera” comminato dall’Arcivescovo; in questo lasso di tempo Don Santoro cerchi dentro se stesso le motivazioni che lo hanno portato ad essere prete e se ci sono ancora si comporti di conseguenza; se non ci sono più…faccia come me, cioè faccia il laico, più o meno impegnato socialmente; e basta!!

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