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mercoledì, agosto 26, 2009

L'ITALIA E GHEDDAFI 

In occasione della vicenda relativa alla liberazione di uno dei due attentatori dell’aereo esploso su Lockerbie, si vede proprio come la stampa dei “pennivendoli” usi la vicenda a proprio piacimento, con l’intento di nuocere all’avversario politico di turno; ma ricordiamo, per i più distratti, a cosa ci stiamo riferendo.
Il 21 dicembre del 1988 esplodeva un aereo passeggeri sopra la cittadina scozzese di Lockerbie: perirono tutte le 259 persone a bordo oltre a 11 cittadini di Lockerbie: prima dell'11 settembre 2001 è stato l'attacco terroristico più grave. L'ONU attribuì alla Libia la responsabilità di questo attentato aereo e chiese al governo di Tripoli l'arresto di due suoi cittadini accusati di esservi direttamente coinvolti. Al rifiuto di Gheddafi, le Nazioni Unite approvarono la Risoluzione 748, che sanciva un pesante embargo economico contro la Libia, la cui economia era già in fase calante; nel 1999, con la decisione della Libia di cambiare atteggiamento nei confronti dell’ONU, Tripoli consegnò i sospettati di Lockerbie: Abdelbaset ali Mohamed al-Megrahi fu condannato all'ergastolo nel gennaio 2001 da una corte scozzese, mentre Al Amin Khalifa Fhimah fu assolto.
Adesso, causa un cancro incurabile e in fase terminale, ma forse anche a seguito di negoziati economici Libia-Gran Bretagna, Al Megrahi è stato liberato dal carcere scozzese nel quale si trovava rinchiuso ed è stato accolto da eroe al rientro in Libia.
E qui sono iniziate le contumelie nei confronti di Berlusconi che – a detta della sinistra unita (questa volta) non sarebbe dovuto andare il prossimo settembre in Libia per una visita di Stato già programmata; allora andiamo un po’ indietro nel tempo e scopriamo che cosa veniva detto di Gheddafi nel 2000: “adesso è possibile un rapporto di amicizia, collaborazione e rispetto reciproco; l’Italia si mette a disposizione”; chi l’ha detto? Ma è facile, sarà stato quel lecchino di Berlusconi! E invece no, fu “baffino” D’Alema che, nel solco tracciato da Prodi (pur in pieno embargo), continuava a trattare con Tripoli questioni economiche ma anche di altra natura.
Insomma, vediamo la vicenda dall’inizio: il consesso delle Nazioni decreta un embargo e Gheddafi deve abbozzare (avrebbe potuto chiudere i rubinetti del petrolio, ma non lo fece) e consegnare un presunto attentatore; questi viene processato e condannato all’ergastolo; durante la permanenza in carcere si becca un tumore maligno e adesso – in fase terminale – riceve un gesto di umanità dalla giustizia britannica: o non era più logico mettere la sordina all’evento e parlare d’altro?
E invece no, si attacca Berlusconi, anche se è in buona compagnia, perché a cominciare da Moro, poi Andreotti, poi Prodi, quindi D’Alema, tutti si sono adoperati per coltivare buoni rapporti con Gheddafi (e tutti sono stati attaccati dagli avversari) e Berlusconi ha seguito quindi una linea già tracciata, magari percorrendola con l’enfasi che gli è propria.
Insomma, i casi sono due: quando una Nazione impugna i diritti umani nei confronti della Libia significa che è stata tagliata fuori da un affare e – in politica interna – così come veniva attaccato Andreotti prima e Prodi dopo, adesso tocca a Berlusconi a subire gli strali degli avversari, ma ricordiamoci che è assai difficile scindere gli interessi economici dalla politica estera, la quale – come diceva quella grandissima “volpe” della Tatcher “consiste nel fare i propri interessi”.
E per quanto riguarda il signor al-Megrahi, lasciamolo morire in pace – se è vera la storia del tumore – e ricordiamoci che di fatti del genere sono pieni i giornali: ricordate Battisti e il Brasile o la signora terrorista mandata a morire in Italia: è ancora viva!

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