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sabato, luglio 11, 2009

RIPENSANDO ALL'ENCICLICA 

Mi è ritornata in mente l’ultima Enciclica del Papa, quando mi sono messo a pensare alla situazione di operai e impiegati in questo mondo in crisi e globalizzato; non mi si può certo definire un estimatore del Papa, ma in questo documento ho trovato alcuni elementi sui quali convergo: il concetto che “il profitto” è utile se, in quanto mezzo (cioè strumento) è orientato ad un fine che gli fornisca un senso sia sul “come” produrlo che sul come utilizzarlo. Sulla immigrazione viene affermato che non possiamo considerarli come una merce o una mera forza lavoro, in quanto – nonostante le difficoltà della loro integrazione – recano un contributo significativo allo sviluppo economico del Paese. E sulla “tecnica” si dice che essa è “la nuova ideologia che si diffonde dopo la caduta di quelle tradizionali e tende a liberarsi da ogni etica, nutrendosi solo di relativismo”.
Ma è seguitando questo discorso che viene fuori il concetto per me più importante: stante la situazione della tecnica imperante, diventa centrale la questione antropologica, cioè la visione della “persona” che deve essere posta al centro del processo del lavoro.
Faccio un piccolo passo indietro e mi vedo giovane che inizio la mia vita lavorativa: allora c’era l’ufficio personale, mentre adesso abbiamo le “risorse umane”; è stato fatto un passo avanti? Vediamo che il Devoto-Oli definisce risorsa come “il mezzo o la capacità disponibile, consistente in una riserva materiale o spirituale o in un’attitudine a reagire adeguatamente alle difficoltà”.
Sembrerebbe quindi che – almeno stando alle definizioni – il dipendente di questi tempi, sia considerato meglio di come lo era quello di diversi anni addietro; ma c’è da fidarsi? Veramente, adesso ci sono situazioni nelle quali, alla prima avvisaglia di “minor guadagno”, si riduce subito la mano d’opera, o meglio la “risorsa umana”; figuriamoci poi in questi momenti di crisi; l’operazione “meno bocche da sfamare” è la prima cosa a cui si pensa.
Ed allora mi è venuta in mente una idea – strana come sono di solito i miei pensieri – e mi sono chiesto: e se questa crisi fosse pilotata in modo da permettere al “capitalismo” di aggiustare la situazione delle “risorse umane”, cioè di scremarle a misura di “maggior guadagno”?
Questo perché - è sempre la mia idea bislacca che prosegue – da un paio di secoli il capitalismo aveva dalla sua parte la ciclicità delle guerre, conflitti che facevano milioni di morti, nella stragrande maggioranza in campo proletario; ma adesso, il “povero padrone” che aspetta invano da oltre 60 anni un evento bellico, ecco che la crisi potrebbe fare lo stesso gioco: scremare la classe operaia ed eventualmente sostituirla con quelli che chiamo “i nuovi schiavi”.
E quest’ultima idea sapete quando mi è venuta in mente? Quando ho letto i dati ISTAT sull’andamento dell’occupazione (vedi mio post del 20/6) in cui si dice: hanno perduto il lavoro 204mila persone, ma questo dato risulta dalla somma algebrica di 426mila (“italiani” che hanno perso il lavoro) e 222mila (“stranieri” che lo hanno trovato), laddove per stranieri s’intende extra-comunitari, assunti con paghe da fame e con contratti capestro, sia sotto l’aspetto della sicurezza che per la durata del rapporto.
Questo, a mio modo di vedere, è un modo moderno di “scremare” il mondo del lavoro!!
E a suffragare questa mia impostazione c’è un altro dato – di fonte confindustriale – che afferma come nel 2030 “i benestanti” aumenteranno di circa 500milioni nel mondo: che sia “l’utile” derivante dalla crisi attuale?? Sembrerebbe proprio!!

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