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martedì, giugno 30, 2009

CINA: TRA RICORDI E PROBLEMI 

Venti anni fa – esattamente il 4 giugno 1989 – la cosiddetta “Primavera di Pechino” veniva spazzata via dai carri armati in Piazza Tienanmen; per mesi gli studenti i gli operai avevano presidiato la storica Piazza, finché – nella notte tra il 3 e il 4 giugno – arrivò dal Quartiere Generale delle Forze Armate, l’ordine di reprimere ad ogni costo le manifestazioni che chiedevano “LIBERTA’”; l’esercito aprì il fuoco ad altezza d’uomo e la carneficina ebbe inizio: il numero esatto dei morti non si conosce, perché il Governo considera questo dato come un “segreto di Stato”, ma i sopravvissuti lo indicano in svariate migliaia; altre diecina di migliaia di studenti sono scomparsi nelle carceri, mentre altri sono ricomparsi dopo anni, con alle spalle torture e privazioni di ogni sorta.
Ho fatto questa premessa per presentare l’uscita di un libro dal titolo “Pechino in coma”, scritto da tale Ma Jian, all’epoca studente, che narra appunto degli eventi di Piazza Tienanmen e riporta varie testimonianze, una delle quali mi sembra particolarmente significativa: si tratta di un giovane militare che narra, tra le altre cose del momento dell’apertura delle porte della Grande Sala, dalle quali entrarono in Piazza i militari che brandivano fucili con la baionetta innestata e rincorrevano gli studenti per infilzarli come polli allo spiedo; poi intervenne la mitragliatrice e il suono dei proiettili sparati resta nella testa del giovane per anni; egli venne incaricato di aiutare gli altri a “ripulire” il selciato dal sangue versato dai giovani; insomma si trattava di cancellare le tracce del massacro e raccogliere i resti della strage, sandali, giornali, e persino una lunga treccia di capelli neri.
Questo testimone del quale si riporta i ricordi si chiama Chen Guan, oggi fa il fotografo e pittore, ma continua a vivere nel terrore, sorvegliato dalla Polizia, come tutti coloro che hanno partecipato a quel tragico episodio e sono sopravvissuti.
Tutti gli analisti politici si chiedono che cosa sia cambiato in questi venti anni, ma è difficile fare affermazioni precise, stante che – al di là dell’ostentata ricchezza e dell’apparente libertà – lo Stato è ancora totalmente sovrano nei confronti del popolo e ne guida meticolosamente i passi.
Ma questo stato al momento ha un grosso problema che gli deriva da una scelta operativa, forse obbligata, che lo ha portato ad essere il massimo detentore di dollari del mondo. In tale condizione, il governo cinese cerca di far crescere la propria valuta – lo Yuan – ma ne deve centellinare l’avanzata in quanto ha l’obbligo di continuare ad acquistare dollari sul mercato, allo scopo di difenderne il valore e quindi di mantenere inalterato il proprio “asset” che, in caso contrario, diventerebbe meno prezioso con conseguente ricaduta sull’intera economia del colosso asiatico.
Si pensi che nel solo mese di marzo, la Cina ha acquistato Bond USA per 24 miliardi di dollari, portando le sue disponibilità di titoli americani all’astronomica cifra di 768 miliardi di dollari e confermandosi come il maggior creditore della Casa Bianca.
Con questa situazione in cassaforte, la Cina deve muoversi con prudenza e, nel cercare di sostituire lentamente il dollaro con un’altra moneta, dovrà applicare una costante lungimiranza, unita al proverbiale “piede di piombo”, in quanto un indebolimento della moneta statunitense agirebbe come un boomerang, annullando così il valore dei suoi immensi crediti.
Quindi possiamo asserire che anche in Cina gli Stati Uniti hanno adottato la stessa politica economica: riempire il paese di dollari e quindi farlo diventare un “difensore” della moneta USA; il Dragone è caduto nella trappola dell’aquila di mare!

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