sabato, maggio 02, 2009
MATRIMONIO FIAT/CHRYSLER
Il matrimonio tra la nostra maggiore industria (la FIAT) e una delle tante case automobilistiche americane (forse la più piccola) è andato in porto; officiante il Presidente Obama che ha spinto fin dall’inizio questo sodalizio, anche perché gli toglieva la castagna dal fuoco, dopo i disastrosi dati di bilancio dell’azienda U.S.A..
Da notare che i sindacati americani, ma soprattutto quelli canadesi, si sono dimostrati acquiescenti circa la politica aziendale presentata da Marchionne che prevede una riduzione dei posti di lavoro e un cospicuo taglio agli stipendi.
Vediamo alcuni particolari dell’accordo: la prima mossa è che la Chrysler passerà attraverso una “bancarotta lampo” che non durerà più di 30-60 giorni, al termine della quale nascerà una nuova compagnia; il sistema che hanno adottato mi ricorda – almeno nella filosofia generale – quello per il salvataggio Alitalia: nel caso italiano, i creditori dell’azienda decotta hanno incassato i loro crediti in forma proporzionale (dal 40 al 70% del valore plateale) e penso che la procedura si ripeterà anche a Detroit.
Al momento della nascita della nuova azienda, la FIAT acquisisce il 20% del patrimonio azionario e il diritto di nominare tre dei nove membri del CdA; in cambio non scucirà neppure un dollaro, ma fornirà solo “tecnologia d’avanguardia” per la realizzazione di auto piccole ed ecologicamente evolute.
Successivamente, l’azienda torinese potrà ottenere un ulteriore 15% del pacchetto azionario (non conosco in quale modo) e avrà l’opportunità di acquistare (e qui corrono i soldi) un altro 16% con un diritto di opzione esercitatile tra il 2013 ed il 2016; nell’ipotesi dell’acquisizione di tutti questi pacchetti azionari, la FIAT salirebbe – nel 2016 – al 51% dell’azienda di Detroit.
Quali i “plus” – per usare un termine in uso nella pubblicità – delle due case automobilistiche: la FIAT, sappiamo bene che eccelle nella costruzione di auto piccole, equipaggiate con motori relativamente di bassa cilindrata, dal modesto consumo, dal basso impatto ecologico, dalla lunga durata e dal prezzo contenuto; la Chrysler, dal canto suo, ha la potenza produttiva e una formidabile rete vendita. Detto questo il matrimonio sembrerebbe perfetto in quanto ognuno dei coniugi porta in dote quello che manca all’altro e quindi realizza un sodalizio decisamente interessante.
Per la nostra azienda c’è da aggiungere che in questo mercato globalizzata, andrebbe a soffrire di una dimensione ridotta rispetto ai concorrenti; mentre la Chrysler che è in possesso di questa struttura, non ha il prodotto da collocare sul mercato; da notare che – secondo quanto già affermato da Marchionne – la dimensione minima di un produttore di automobili si è spostata a 6/7 milioni di macchine l’anno e solo con questi accordi si può pensare di raggiungere tali cifre.
Per questo motivo la FIAT sta aprendo un “secondo fronte” nei confronti della Opel, azienda anch’essa in crisi ma con grandi capacità espansive; così facendo il management della casa torinese cerca di realizzare la prima multinazionale italiana, cosa che accrescerebbe il prestigio e la forza dell’azienda.
Detto questo, resta da verificare quanto di questo successo andrà a ricadere sui lavoratori italiani, realtà che a me personalmente – ma anche a voi spero – interessa molto più dei vari azionisti FIAT (gli Agnelli) o del management con il grande Marchionne in testa; difficile fare previsioni, ma da un ciclo espansivo come quello che si sta delineando, si esce con l’aureola del vincitore oppure con le ossa rotte: speriamo che prevalga la prima ipotesi.
Da notare che i sindacati americani, ma soprattutto quelli canadesi, si sono dimostrati acquiescenti circa la politica aziendale presentata da Marchionne che prevede una riduzione dei posti di lavoro e un cospicuo taglio agli stipendi.
Vediamo alcuni particolari dell’accordo: la prima mossa è che la Chrysler passerà attraverso una “bancarotta lampo” che non durerà più di 30-60 giorni, al termine della quale nascerà una nuova compagnia; il sistema che hanno adottato mi ricorda – almeno nella filosofia generale – quello per il salvataggio Alitalia: nel caso italiano, i creditori dell’azienda decotta hanno incassato i loro crediti in forma proporzionale (dal 40 al 70% del valore plateale) e penso che la procedura si ripeterà anche a Detroit.
Al momento della nascita della nuova azienda, la FIAT acquisisce il 20% del patrimonio azionario e il diritto di nominare tre dei nove membri del CdA; in cambio non scucirà neppure un dollaro, ma fornirà solo “tecnologia d’avanguardia” per la realizzazione di auto piccole ed ecologicamente evolute.
Successivamente, l’azienda torinese potrà ottenere un ulteriore 15% del pacchetto azionario (non conosco in quale modo) e avrà l’opportunità di acquistare (e qui corrono i soldi) un altro 16% con un diritto di opzione esercitatile tra il 2013 ed il 2016; nell’ipotesi dell’acquisizione di tutti questi pacchetti azionari, la FIAT salirebbe – nel 2016 – al 51% dell’azienda di Detroit.
Quali i “plus” – per usare un termine in uso nella pubblicità – delle due case automobilistiche: la FIAT, sappiamo bene che eccelle nella costruzione di auto piccole, equipaggiate con motori relativamente di bassa cilindrata, dal modesto consumo, dal basso impatto ecologico, dalla lunga durata e dal prezzo contenuto; la Chrysler, dal canto suo, ha la potenza produttiva e una formidabile rete vendita. Detto questo il matrimonio sembrerebbe perfetto in quanto ognuno dei coniugi porta in dote quello che manca all’altro e quindi realizza un sodalizio decisamente interessante.
Per la nostra azienda c’è da aggiungere che in questo mercato globalizzata, andrebbe a soffrire di una dimensione ridotta rispetto ai concorrenti; mentre la Chrysler che è in possesso di questa struttura, non ha il prodotto da collocare sul mercato; da notare che – secondo quanto già affermato da Marchionne – la dimensione minima di un produttore di automobili si è spostata a 6/7 milioni di macchine l’anno e solo con questi accordi si può pensare di raggiungere tali cifre.
Per questo motivo la FIAT sta aprendo un “secondo fronte” nei confronti della Opel, azienda anch’essa in crisi ma con grandi capacità espansive; così facendo il management della casa torinese cerca di realizzare la prima multinazionale italiana, cosa che accrescerebbe il prestigio e la forza dell’azienda.
Detto questo, resta da verificare quanto di questo successo andrà a ricadere sui lavoratori italiani, realtà che a me personalmente – ma anche a voi spero – interessa molto più dei vari azionisti FIAT (gli Agnelli) o del management con il grande Marchionne in testa; difficile fare previsioni, ma da un ciclo espansivo come quello che si sta delineando, si esce con l’aureola del vincitore oppure con le ossa rotte: speriamo che prevalga la prima ipotesi.