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mercoledì, maggio 20, 2009

LA MULTINAZIONALE FIAT 

Dopo l’acquisizione di Chrysler e quindi degli stabilimenti americani e canadesi e quando sarà conclusa la trattativa con Opel (proprietà GM) e quindi dei dipendenti tedeschi, la FIAT si sta avviando a diventare una “multinazionale” con tutto quello che ne consegue; anzitutto i rapporti sindacali sono da considerare molto diversamente da prima, poiché una vertenza a Russelheim (sede centrale Opel) ha ripercussione immediata a Torino, così come una qualsiasi discussione a Termini Imprese viene presa in esame anche in Germania e a Detroit o a Seattle.
È ovvio supporre che i “nostri” sindacati non siano preparati per affrontare una controversia che abbracci tante nazioni quante sono le filiali FIAT; tant’è vero che ancora siamo ai parapiglia durante le manifestazioni, cose da anni ’70, mentre l’uomo con il maglioncino blu prosegue imperterrito per la sua strada, giocando con gli stabilimenti e con gli operai come se fosse ad un tavolo di Monopoli.
La strategia che sta adottando mi sembra chiara: in queste nazioni (Italia, USA, Canada e Germania) avvertire i governi che senza di lui le aziende chiudono; ma lui in che modo pensa di salvarle? Semplice, facendo una “bancarotta controllata” nella quale ci rimettono i fornitori, dopo di che si passa a far pesare l’intervento alla mano pubblica che deve tirare fuori dei soldi – e tanti – sia direttamente che indirettamente (incentivi e facilitazioni bancarie con fondi sul tipo dei Tremonti bond).
A questo punto vengono chiamati i sindacati e gli viene detto che non si chiude nessuno stabilimento, salvo poi a ripensarci e a dire loro che quella fabbrica verrà sacrificata per tenere in piedi le altre; insomma, detto in soldoni, c’è un esubero di personale pari a “tot” dipendenti che dobbiamo far uscire dalla catena produttiva: se ne occupi lo Stato se ci sono i soldi altrimenti si arrangino.
Accanto a questa strategia, abbiamo i singoli Stati che intervengono per “salvare” i loro stabilimenti e i loro operai a danno di quelli di altre Nazioni; così – ad esempio – la Merkel chiederà che si tagli i posti in Sicilia anziché nella Ruhr, mentre il nostro Ministro Scaiola farà l’esatto contrario; probabilmente andrà a finire che Marchionne taglierà sia in Sicilia che nella Ruhr.
Delle tre nazioni impegnate nella trattativa, abbiamo una “fotografia” che ci mostra gli americani come uno stuolo di operai “obbedienti”, con l’eccezione dei canadesi che sono stati più recalcitranti, mentre i tedeschi si stanno organizzando per scavalcare – se del caso - anche i sindacati ed affrontare il problema direttamente in fabbrica; e noi? Mi sembra che i nostri lavoratori non si facciano soverchie illusioni e siano invece assai depressi, stretti come sono tra un sindacato che predica (a parole) la solita durezza ma che inneggia al “mago Marchionne” e dall’altra un governo che spera di ottenere un po’ della luce che potrebbe risplendere qualora l’operazione andasse in porto senza troppe rinunce.
Io, che sono il solito “bastian contrario”, di tutte le dichiarazioni sulla vicenda, ne voglio riportare una di un esponente dell’estrema sinistra (adesso fuori dal Parlamento) che dice, pressappoco così: “come mai il Governo, accanto ai molteplici aiuti forniti a Banche ed Imprese (direttamente o indirettamente) non ha posto una clausola che preveda una sorta di moratoria di un anno o due sulla possibilità di licenziare i dipendenti e per coloro che non lo fanno prelevare coattivamente i soldi dati loro?”. Non mi sembra un’idea peregrina, ma anzi mi appare come una mossa che vada verso una giustizia sociale tante volte invocata e quasi mai applicata.

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