domenica, maggio 17, 2009
FORSE NON TUTTI SANNO
Dalla bella penna e dalla viva memoria di Piero Melograni, apprendo di un fatto che, sinceramente, non conoscevo; siamo nel settembre del 1920, all’indomani della Prima Guerra Mondiale e poco prima dell’avvento del fascismo.
Nel Nord Italia, gli operai metallurgici occuparono le fabbriche, mettendo fuori dirigenti e ingegneri e provando a fare da soli; c’era stata infatti l’illusione che le maestranze operaie potessero cavarsela da sole, facendo a meno anche dei tecnici, ma non si pensò al problema principale: la mancanza di materie prime che bloccarono sul nascere molte delle velleitarie iniziative.
Si arrivò così a non lavorare e le cosiddette “Guardie Rosse” poste ai cancelli delle fabbriche per difenderle da eventuali attacchi esterni, furono impiegate per impedire la diserzione di una buona parte degli operai.
La notizia di queste occupazioni giunse ovviamente fino a Mosca e lo stesso Lenin ne parlò con Angelica Balabanoff, segretaria dell’Internazionale comunista; tra i due le idee non collimarono e infatti, mentre quest’ultima si mostrò entusiasta dell’iniziativa delle masse italiane, Lenin si infuriò dicendo che in un Paese dove non c’erano materie prime (pensava alla farina per il pane ed al carbone per gli altiforni) non era possibile l’occupazione delle fabbriche e la stessa era destinata al fallimento; aggiunse che una nuova sconfitta della rivoluzione comunista dopo quella d’Ungheria (con Bela Kun) sarebbe stata intollerabile.
Insomma, il grande Lenin, come lo sarà dopo lo stesso Stalin, non voleva la rivoluzione mondiale, ma desiderava dei partiti comunisti forti nei principali paesi occidentali, in modo che questi condizionassero la politica dei vari governi; e basta così!
E se adesso si ripresentasse la stessa situazione, alla luce della crisi ancora montante e con gli industriali (“i padroni”) sempre più rapinatori delle risorse aziendali?
Non credo che sia ripetibile una occupazione delle fabbriche, anche perché adesso c’è una maggiore forza e coesione dello Stato che si allea con Imprenditori e Sindacati, tutti votati a non fare troppa confusione; che siano tutti d’accordo??!!
Eppure ieri, alla manifestazione indetta unitariamente da sindacati e COBAS, c’è stato un po’ di parapiglia e il segretario della FIOM-CGIL è stato fortemente contestato e svillaneggiato in modo da non farlo parlare.
È ovvio supporre che l’acquiescenza del sindacato alle manovre un po’ spericolate di Marchionne, il quale gioca con stabilimenti e con operai come se fosse intento ad una partita di Monopoli, cominciano a preoccupare qualcuno, innanzitutto i COBAS, mentre le altre componenti usciranno fuori dal letargo quando ormai la frittata sarà fatta.
Ma una “occupazione” c’è stata ed è avvenuta nella mia regione: i 60 dipendenti di una azienda situata nell’aretino, nell’apprendere che la proprietà aveva deciso di chiudere, si sono guardati in faccia ed hanno fatto una offerta di circa 200mila euro, trovando il capitale nelle loro tasche, con versamenti da 6 a 12 mila euro cadauno.
La fabbrica è una struttura estremamente modulabile e può occuparsi di varie cose: adesso sta montando delle cabine per disabili, manufatti quindi che rappresentano una nicchia di grande valore sia sociale che aziendale. Tra l’altro, i nuovi “padroni”, hanno trovato nei cassetti della direzione, un monte ordini che permetterà loro di trascorrere un certo periodo in piena tranquillità; mentre auguriamo alle maestranze tutte le fortune possibili, siamo costretti a chiederci: ma quali erano i motivi per i quali i vecchi proprietari avevano deciso di chiudere? Non c’è nessuno preposto a queste indagini?
Nel Nord Italia, gli operai metallurgici occuparono le fabbriche, mettendo fuori dirigenti e ingegneri e provando a fare da soli; c’era stata infatti l’illusione che le maestranze operaie potessero cavarsela da sole, facendo a meno anche dei tecnici, ma non si pensò al problema principale: la mancanza di materie prime che bloccarono sul nascere molte delle velleitarie iniziative.
Si arrivò così a non lavorare e le cosiddette “Guardie Rosse” poste ai cancelli delle fabbriche per difenderle da eventuali attacchi esterni, furono impiegate per impedire la diserzione di una buona parte degli operai.
La notizia di queste occupazioni giunse ovviamente fino a Mosca e lo stesso Lenin ne parlò con Angelica Balabanoff, segretaria dell’Internazionale comunista; tra i due le idee non collimarono e infatti, mentre quest’ultima si mostrò entusiasta dell’iniziativa delle masse italiane, Lenin si infuriò dicendo che in un Paese dove non c’erano materie prime (pensava alla farina per il pane ed al carbone per gli altiforni) non era possibile l’occupazione delle fabbriche e la stessa era destinata al fallimento; aggiunse che una nuova sconfitta della rivoluzione comunista dopo quella d’Ungheria (con Bela Kun) sarebbe stata intollerabile.
Insomma, il grande Lenin, come lo sarà dopo lo stesso Stalin, non voleva la rivoluzione mondiale, ma desiderava dei partiti comunisti forti nei principali paesi occidentali, in modo che questi condizionassero la politica dei vari governi; e basta così!
E se adesso si ripresentasse la stessa situazione, alla luce della crisi ancora montante e con gli industriali (“i padroni”) sempre più rapinatori delle risorse aziendali?
Non credo che sia ripetibile una occupazione delle fabbriche, anche perché adesso c’è una maggiore forza e coesione dello Stato che si allea con Imprenditori e Sindacati, tutti votati a non fare troppa confusione; che siano tutti d’accordo??!!
Eppure ieri, alla manifestazione indetta unitariamente da sindacati e COBAS, c’è stato un po’ di parapiglia e il segretario della FIOM-CGIL è stato fortemente contestato e svillaneggiato in modo da non farlo parlare.
È ovvio supporre che l’acquiescenza del sindacato alle manovre un po’ spericolate di Marchionne, il quale gioca con stabilimenti e con operai come se fosse intento ad una partita di Monopoli, cominciano a preoccupare qualcuno, innanzitutto i COBAS, mentre le altre componenti usciranno fuori dal letargo quando ormai la frittata sarà fatta.
Ma una “occupazione” c’è stata ed è avvenuta nella mia regione: i 60 dipendenti di una azienda situata nell’aretino, nell’apprendere che la proprietà aveva deciso di chiudere, si sono guardati in faccia ed hanno fatto una offerta di circa 200mila euro, trovando il capitale nelle loro tasche, con versamenti da 6 a 12 mila euro cadauno.
La fabbrica è una struttura estremamente modulabile e può occuparsi di varie cose: adesso sta montando delle cabine per disabili, manufatti quindi che rappresentano una nicchia di grande valore sia sociale che aziendale. Tra l’altro, i nuovi “padroni”, hanno trovato nei cassetti della direzione, un monte ordini che permetterà loro di trascorrere un certo periodo in piena tranquillità; mentre auguriamo alle maestranze tutte le fortune possibili, siamo costretti a chiederci: ma quali erano i motivi per i quali i vecchi proprietari avevano deciso di chiudere? Non c’è nessuno preposto a queste indagini?