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mercoledì, maggio 27, 2009

E' MORTO UN MIO AMICO 

Ieri sera è morto un mio carissimo, fraterno amico e oggi mi sento solo di parlare di lui; è morto dopo una lunga e dolorosissima agonia e con due anni di problemi gravissimi di salute; era maggiore a me di età, ma poi non di tanto ed aveva un fisico invidiabile.
La prima frase che mi è venuta in mente è stata quella di “pensare al futuro ma senza dimenticare il passato”, con ciò intendendo che l’uomo deve guardare a quello che lo aspetta, ma prendendo spunto anche da quello che ha già passato.
L’ho detto alla moglie, anch’essa in non buone condizioni di salute, ed ho aggiunto di farsi forza perché da ora in poi sarebbe stata veramente “sola”; i figli – presenti all’incontro – hanno subito replicato che la mamma non sarebbe stata sola, ma ci sarebbero stati sempre loro al suo fianco per tutto quello che le poteva occorrere.
Glielo auguro, ma so per esperienza diretta che a gioco medio/lungo ognuno riprende la propria esistenza – com’è giusto che sia – e quindi i figli ritornano ad occuparsi della propria famiglia e della propria vita ed alla madre riservano qualche telefonata settimanale; questo – almeno per i figli legati affettivamente – fino a quando la madre comincia ad avere qualche problema di salute che mano a mano si aggrava sempre più, fino all’infermità – grande scocciatura – e quindi alla morte (liberazione?)..
Sto usando il termine “morte”, ma mi rendo conto di essere in controtendenza alla nostra civiltà contemporanea che ha cancellato, interdetto questo nome: se ci fate caso, neppure sui necrologi si usa più, preferendo sostituirla con i più melliflui “la scomparsa”, “la dipartita”, “è mancato all’affetto dei suoi cari” e via di questo passo.
Ed è così che il ricordo di un fraterno amico mi si va trasformando in una riflessione sulla morte: nel contesto della civiltà del benessere, degna erede dell’illuminismo, è stato proclamato il “diritto alla felicità” e quindi – a conti fatti – che felicità ci può essere se alla fine dei salmi, sia pure con qualche dilazione, si muore lo stesso?
E soprattutto si continua ad avere una paura innaturale di quello che – a parole – consideriamo un evento biologicamente naturale, ma che nel nostro intimo continuiamo a non accettare.
Forse il motivo è che la moderna medicina tecnologica consente di vivere al di sopra di ogni previsione; ma se notate bene, questa forma di vita è qualcosa che non ha niente a che vedere con una normale esistenza.
Già Max Weber si pone il seguente quesito: “la conservazione della vita è un valore così assoluto da difendere con tutti i mezzi, a qualsiasi prezzo, oppure questa difesa a oltranza non finisce per risolversi in qualcosa che è contro la vita e contro la dignità della vita stessa?”.
Il presupposto della medicina moderna è che sia considerato positivo unicamente il compito della conservazione della vita e quindi tutte le scienze naturali sono chiamate a dare risposta a questo quesito (per me agghiacciante): cosa dobbiamo fare se vogliamo dominare tecnicamente la vita?
Sono certo che anche il mio amico morto ieri avrebbe sottoscritto i dubbi che sto prospettando sulla liceità di certi comportamenti, ma anche lui è stato protagonista di un paio di anni di questa “non – vita” e non ha potuto ribellarsi a quello che in qualche caso si definisce “accanimento terapeutico”, proprio perché il primo organo che gli era stato colpito è stato il cervello e quindi le sue funzioni decisionali sono totalmente saltate. Comunque, amico mio, di lassù o di laggiù, dai un’occhiata a questa valle di lacrime e segui la nostra involuzione: ti farai un sacco di risate!!

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