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mercoledì, aprile 08, 2009

STORIE DI ORDINARIA POLITICA 

Siamo in un Comune del Centro Italia e le due cose che vi sto per raccontare rappresentano, per me, lo specchio della situazione nella quale è caduta la nostra amministrazione della cosa pubblica, sia nazionale che locale.
La prima: una di queste mattine, prima dell’inizio della seduta consiliare, arriva nel salone – invitato da una consigliera del PD, partito al governo della città – un pretino giovane, lo definirei implume se non fosse per il pizzetto nero, e benedice l’aula con l’aspersione dell’acqua benedetta, secondo la tradizione popolare che prevede tale operazione nelle vicinanze della Pasqua. Apriti cielo, spalancati terra, i consiglieri – opportunamente avvertiti – si precipitano in Aula e accusano il sacerdote di essere “venuto a marcare il territorio così come fanno i cani con la propria orina”, battuta di una finezza esaltante.
La consigliera che ha invitato il prete a benedire l’aula ribatte che “Don Marco (il nome è di fantasia) non è venuto qui per marcare il territorio, ma solo per effettuare una benedizione pasquale che rientra nella tradizione popolare”; il prete se ne va!
Ovviamente la rissa prosegue e assume i toni della pochade (a mio giudizio), specie quando un consigliere della maggioranza ha asserito di “essere rimasto turbato dall’atto della benedizione e di essersi sentito discriminato in quanto siamo in un’aula pubblica nella quale ci sono consiglieri atei, un musulmano, un ebreo e un valdese e tutti sono stati costretti a subire un rito di una religione alla quale non appartengono”.
Se il Consigliere Rossi (altro nome di fantasia) avesse fatto questo discorso di fronte alla sua mamma, tutto sarebbe finito con uno scapaccione e con la raccomandazione di pensare alle cose serie, con l’aggiunta che una benedizione, qualunque essa sia, non ha mai fatto male a nessuno; comunque, la rissa è continuata per tutta la mattinata (il pomeriggio hanno fatto festa, naturalmente); e qui chiudiamo il primo racconto.
La seconda “puttanata” cui mi riferisco è accaduta di pomeriggio ed ha riguardato la revoca della cittadinanza a Benito Mussolini, onorificenza attribuitagli in occasione della sua visita nel giugno del 1923. Non sto a ricordarvi che Mussolini è deceduto nel 1945 e, da quella data, non appare, o non dovrebbe apparire più nei registri comunali.
Dunque, ritorniamo a bomba: su proposta di un consigliere del PD, il Consiglio è stato investito della discussione sulla revoca di tale cittadinanza e, come era facile prevedere, l’atmosfera di è subito surriscaldata.
Anzitutto le presenze in aula sono sintomatiche: solo 36 i consiglieri presenti su 47; di questi 29 i favorevoli e 7 i contrari; durante il dibattito, un consigliere di area AN ha difeso appassionatamente la figura “storica” di Mussolini, mentre un altro – di area PD – si è impegnato per denigrarla, operazione che al momento non è certamente di grande difficoltà: si potrebbe dire che è “come sparare sulla Croce Rossa”. Comunque, un'altra giornata di lavoro se n’è andata!
Il commento più interessante, a mio giudizio, è stato quello di una consigliera di area PDL che ha detto: “entro il 22 aprile (fine legislatura) ci sono ancora 32 delibere da approvare (o no), ma la maggioranza preferisce occuparsi di queste questioni che ai cittadini non interessano proprio niente”.
Aggiungo che in politica si usa fare discorsi “sui massimi sistemi” quando non si riesce a fare le cose “normali”; questo avviene naturalmente sia in campo nazionale che in quello locale, perché i protagonisti sono tutti della stessa pasta, cioè hanno a cuore le stesse cose: la poltrona e basta e se ne fregano degli interessi dei cittadini.

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