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mercoledì, aprile 15, 2009

MAL-EDUCAZIONE ALL'IMMAGINE 

Tante volte ho avuto modo di dirvi che in questo secolo definito “dell’immagine”, mancano ai più i canoni minimi per affrontare una corretta lettura di una comunicazione eseguita con l’immagine; due casi accaduti di recente mi danno l’occasione di ribadire il concetto.
Anzitutto diciamo che qualsiasi mezzo che usa l’immagine (audiovisiva) non può essere mai definito “di informazione”, ma, più correttamente, di comunicazione; dove sta la differenza? Nell’informazione si fornisce un dato oggettivo, mentre nella comunicazione si veicola – attraverso una serie di immagini organizzate “in un certo modo” – l’idea dell’autore circa la cosa da comunicare.
Mi spiego con due esempi, il primo dei quali è riferito alla trasmissione di Santoro “Annozero” in onda giovedì scorso e riguardante il terremoto d’Abruzzo; premetto che non ho visto la puntata in esame e quindi non entro in merito al modo con cui l’autore ha trattato l’evento; mi limito a ribadire, ancora una volta, come si deve comportare il fruitore di tale comunicazione, cioè il telespettatore: poiché il programma è fatto da un autore – che chiameremo comunicante – ed è organizzato con interviste (scelte dallo stesso autore) e con contributi in studio (sapientemente dosate e al caso interrotte dallo stesso autore), mi sembra che si arrivi a comprendere facilmente come l’intera trasmissione è nient’altro che L’IDEA DELL’AUTORE SU QUELLA FASE DEL TERREMOTO e non la vera realtà di come sono andate le cose.
Se la gente imparerà che una trasmissione contrabbandata come “di informazione” non ci può in nessun caso mostrare la realtà delle cose, ma l’idea dell’autore circa quelle cose, si arrabbierà molto meno nel riscontrare la vera o presunta faziosità dell’autore, in quanto tale “faziosità” è quello che in semiologia si chiama “ fondi mentali dell’autore” che emergono – volente o nolente – in ogni fase della comunicazione, attraverso la sua espressività. Quindi ripeto ancora una volta che la tanto richiesta “obiettività” non esiste quando si usino delle immagini, in quanto la loro realizzazione in un certo modo discende dall’inconscio dell’autore, cioè dalla sua componente idealogica (non ideologica) che lo guida nella realizzazione del filmato.
Nel titolo parlo di mal-educazione e, dopo questo caso di errata “lettura” di una comunicazione che viene scambiata per informazione, vi voglio raccontare quanto accadutomi ieri sera in un cinema della mia città dove si proiettava “Louise-Michel”.
Per il momento accantono la lettura del film – se deciderò di fare un articolo per la rivista sui cui scrivo, lo metterò on line anche qui – e vi fornisco solo un brevissimo incipit:. Prima dei titoli di testa, appare una scritta che invita il pubblico ad attendere le immagini che seguiranno “dopo” i titoli di coda; la vicenda si svolge in Francia ai primi vagiti della crisi ancora in atto e in una fabbrica le operaie si ritrovano licenziate da un giorno all’altro, con una somma, complessiva, di 20.000 euro; dopo aver vagliato una serie possibilità per impiegare tale somma (pizzeria, altro negozio, ecc,) decidono, su proposta di Louise, di ingaggiare un killer professionista per fare uccidere “il padrone”.
Una serie di peripezie porterà all’uccisione di tre persone, ma nessuna di loro è il vero padrone, per cui le operaie si ritrovano di nuovo riunite attorno ad un telefono pubblico mentre commentano le notizie; dopo scorrono i titoli di coda; a questo punto almeno il 70% delle persone presenti in sala si sono alzati e se ne sono andate, senza attendere una nuova sequenza della durata di circa due minuti, che è poi quella che fornisce la significazione finale del film.: questa è volersi fare del male!!

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