domenica, aprile 26, 2009
DOPO IL 25 VIENE IL 26
Scusate la banalità del titolo, ma esso si vuole riferire al fatto che dopo il “fatidico” 25 aprile, si giunge al 26 aprile e tutto quello che abbiamo lasciato alle nostre spalle nell’entusiasmo della sbornia “unitaria”, si ripresenta implacabile.
Prima di addentrarci nel “26 aprile”, vediamo alcune notazioni sul 25 aprile; anzitutto, considero pura retorica l’attribuzione della “straordinaria importanza” che il nostro Presidente assegna alla resistenza: “questa, piaccia o no, fu determinante per restituire libertà e dignità al nostro Paese"; la frase di Napolitano, oltre al non grandissimo buon gusto di quel “piaccia o no”, è stata ormai superata dagli storici che assegnano alla resistenza soltanto un valore appendicolare – a volte utile a volte d’impaccio – alla battaglia che centinaia di migliaia di giovani stranieri (inglesi, americani, francesi eccetera) combatterono per liberare il nostro Paese dal fascismo; e, scusate il paradosso, ma se alla Resistenza si dedica una festa l’anno, a questi valorosi che hanno dato le loro vite – ne sono testimoni i tanti cimiteri – ne dovremmo dedicare almeno una ogni mese; l’unico merito incontrovertibile della lotta partigiana è stato quello di mostrare ai vincitori che “non tutto il popolo italiano era fascista”.
Ed anche quell’insistenza – lodevole finché si vuole – con cui si ripete il concetto che il 25 aprile è una festa “di tutti”, bisognerebbe che qualcuno, magari molto in alto, si ricordasse che proprio l’anno scorso – vigente il governo Prodi fortemente condizionato dall’estrema sinistra – al corteo di Milano fu sonoramente fischiata e pesantemente offesa il Sindaco di Milano, la Moratti, che conduceva la carrozzina sulla quale sedeva il padre, partigiano, non in grado di camminare. Se questo è il concetto della “festa di tutti” allora non ci siamo proprio e assomiglia a quanto accaduto ieri a Formigoni. Comunque, io – cinico anarcoide – non mi sorprendo più di tanto nel vedere una parte politica che tenta di mantenere l’esclusiva sulla vicenda della “resistenza” e che non è disposta a concederne l’usufrutto se non a determinate condizioni (il pesante sarcasmo che sta dietro la frase “era l’ora”); però ricordiamoci che il 26 aprile, questa primogenitura non porta consensi e soprattutto non risolve i problemi.
E veniamo appunto al 26 aprile, cioè al “day after”; dopo un primo momento speso a fare la solita “conta” dei presenti e degli assenti – e per questi ultimi a leggere le “giustificazioni” – i problemi del nostro Paese si riaffacciano prepotentemente e chiedono di essere affrontati e, se possibile, risolti in maniera socialmente corretta.
Ed in questa situazione abbiamo un leader di maggioranza che – dobbiamo ammetterlo – ha delle geniali idee “televisive”, sul tipo di quella di mettere in scena il G8 a L’Aquila: ve l’immaginate l’impatto mediatico che può avere una passeggiata di Obama e Sarkozi, con in mezzo la Merkel, tra le macerie dell’Ospedale Civile?
Questa operazione ci porterà consensi da tutto il mondo, ma auguriamoci che porti anche quattrini, perché è di quelli che abbiamo bisogno; e poi speriamo che questi soldi vengano spesi nel modo socialmente più corretto, senza cioè che qualcuno – come avviene sovente in casi emergenziali – si arricchisca sulla pelle dei poveracci.
Dall’altra parte abbiamo l’opposizione che è composta da due anime: la principale (come consensi) cerca di tenere dietro a Berlusconi e, se del caso, a ironizzare sulle scelte del governo; l’altra componente invece su ogni problema che si affaccia all’orizzonte, aspetta di conoscere il pensiero del leader della coalizione per poi dire esattamente il contrario: ho paura che una opposizione svolta in questo modo non conduca da nessuna parte e che a beneficiarne sia solo la maggioranza.
Prima di addentrarci nel “26 aprile”, vediamo alcune notazioni sul 25 aprile; anzitutto, considero pura retorica l’attribuzione della “straordinaria importanza” che il nostro Presidente assegna alla resistenza: “questa, piaccia o no, fu determinante per restituire libertà e dignità al nostro Paese"; la frase di Napolitano, oltre al non grandissimo buon gusto di quel “piaccia o no”, è stata ormai superata dagli storici che assegnano alla resistenza soltanto un valore appendicolare – a volte utile a volte d’impaccio – alla battaglia che centinaia di migliaia di giovani stranieri (inglesi, americani, francesi eccetera) combatterono per liberare il nostro Paese dal fascismo; e, scusate il paradosso, ma se alla Resistenza si dedica una festa l’anno, a questi valorosi che hanno dato le loro vite – ne sono testimoni i tanti cimiteri – ne dovremmo dedicare almeno una ogni mese; l’unico merito incontrovertibile della lotta partigiana è stato quello di mostrare ai vincitori che “non tutto il popolo italiano era fascista”.
Ed anche quell’insistenza – lodevole finché si vuole – con cui si ripete il concetto che il 25 aprile è una festa “di tutti”, bisognerebbe che qualcuno, magari molto in alto, si ricordasse che proprio l’anno scorso – vigente il governo Prodi fortemente condizionato dall’estrema sinistra – al corteo di Milano fu sonoramente fischiata e pesantemente offesa il Sindaco di Milano, la Moratti, che conduceva la carrozzina sulla quale sedeva il padre, partigiano, non in grado di camminare. Se questo è il concetto della “festa di tutti” allora non ci siamo proprio e assomiglia a quanto accaduto ieri a Formigoni. Comunque, io – cinico anarcoide – non mi sorprendo più di tanto nel vedere una parte politica che tenta di mantenere l’esclusiva sulla vicenda della “resistenza” e che non è disposta a concederne l’usufrutto se non a determinate condizioni (il pesante sarcasmo che sta dietro la frase “era l’ora”); però ricordiamoci che il 26 aprile, questa primogenitura non porta consensi e soprattutto non risolve i problemi.
E veniamo appunto al 26 aprile, cioè al “day after”; dopo un primo momento speso a fare la solita “conta” dei presenti e degli assenti – e per questi ultimi a leggere le “giustificazioni” – i problemi del nostro Paese si riaffacciano prepotentemente e chiedono di essere affrontati e, se possibile, risolti in maniera socialmente corretta.
Ed in questa situazione abbiamo un leader di maggioranza che – dobbiamo ammetterlo – ha delle geniali idee “televisive”, sul tipo di quella di mettere in scena il G8 a L’Aquila: ve l’immaginate l’impatto mediatico che può avere una passeggiata di Obama e Sarkozi, con in mezzo la Merkel, tra le macerie dell’Ospedale Civile?
Questa operazione ci porterà consensi da tutto il mondo, ma auguriamoci che porti anche quattrini, perché è di quelli che abbiamo bisogno; e poi speriamo che questi soldi vengano spesi nel modo socialmente più corretto, senza cioè che qualcuno – come avviene sovente in casi emergenziali – si arricchisca sulla pelle dei poveracci.
Dall’altra parte abbiamo l’opposizione che è composta da due anime: la principale (come consensi) cerca di tenere dietro a Berlusconi e, se del caso, a ironizzare sulle scelte del governo; l’altra componente invece su ogni problema che si affaccia all’orizzonte, aspetta di conoscere il pensiero del leader della coalizione per poi dire esattamente il contrario: ho paura che una opposizione svolta in questo modo non conduca da nessuna parte e che a beneficiarne sia solo la maggioranza.