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venerdì, marzo 06, 2009

SOVVENZIONI 

Ha scatenato una fortissima polemica l’intervista rilasciata dallo scrittore Alessandro Baricco sull’uso delle risorse pubbliche nella cultura e, in particolare, nelle attività teatrali; un solo dato che chiarisce il problema: per il 2009 (cioè in periodo in cui il mondo intero versa in una profonda crisi) sono previsti finanziamenti pubblici per quasi 400milioni di euro, dei quali circa il 50% (200milioni) sono riservati ai teatri lirici e quasi 65milioni ai teatri di prosa.
Questi finanziamenti – definiamoli meglio come “regalie” – giungono a pioggia alle Fondazioni create a fianco dei maggiori Enti Lirici e di prosa e permettono, a detta dei fautori del sistema, di produrre gli spettacoli che altrimenti non sarebbe possibile mettere in scena.
Questo significa che da soli gli spettacoli proposti al pubblico non potrebbero far pari nel loro budget; ma ci siamo mai chiesti il perché di tale situazione? Forse il problema verte sui troppo alti compensi dati a star di dubbio valore (ma raccomandate da chi?), la pletora di personale nelle tante strutture pubbliche e l’eccessivo numero di dirigenti messi negli Enti per meriti esclusivamente politici e quindi diventati inamovibili a prescindere dalla loro utilità.
Se tutto questo è vero, ne discende che il teatro (lirico e di prosa) non possa produrre reddito, ma debba essere sovvenzionato per andare avanti; ma questa convinzione su cosa è basata? Non certo sulle realtà degli altri Paesi che non conoscono il finanziamenti di stato per le proprie messe in scena.
Nell’intervista sopra citata, Baricco suggerisce una cosa che mi lascia perplesso: dirottare verso la scuola e la televisione una cospicua parte dei finanziamenti adesso concessi “a pioggia” agli spettacoli teatrali; per l’approccio alla scuola, Baricco suggerisce di immettere il teatro come utile strumento di formazione delle giovani generazioni, mentre per la televisione propone di realizzare programmi di qualità da mettere in onda in prima serata a prescindere dall’audience.
Quest’ultima proposta mi lascia perplesso, ma in teoria ha la sua valenza: il mezzo TV ha l’”obbligo” dell’audience e quindi non può produrre spettacoli votati solo alla qualità? Bene, allora, ci pensi lo Stato a fare questo e da ciò se ne ricaverà un miglioramento della cultura generale del Paese.
Il problema, come ho già accennato, è che le strutture teatrali sono interamente in mano a politici di professione e quindi inamovibili dalla loro poltrona; sono gli stessi politici che adesso vengono citati per lo stop alla categoria dei “pianisti”, cioè a coloro che votano per i vicini di posto, sordi a qualunque richiamo della Presidenza.
Al momento la votazione mediante rilevazione delle impronte digitali è diventata una realtà per 500 deputati sui 630 della Camera; c’è stata una certa difficoltà a fare entrare in vigore il provvedimento, ma sembra che la scadenza del 10 marzo possa essere rispettata; i 130 che ancora non hanno provveduto a rilasciare le loro impronte digitali, si stanno muovendo in tal senso, salvo 2 che sono “impediti fisicamente” e 19 che si sono dichiarati “obiettori”, cioè che si rifiutano di dare le proprie impronte.
Per sbloccare la situazione basterebbe bloccare lo stipendio a coloro che non si adeguano alla nuova normativa: sono certo che tutti si metterebbero in regola.
A meno che i 19 obiettori non abbiano già rilasciato le loro impronte “in altra sede”, dove gli sono state prese con la forza, e abbiano timore che ci possa essere una sorta di correlazione tra i due fatti; ma non pensiamo male, per favore!!

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