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giovedì, febbraio 05, 2009

QUALCHE INCIAMPONE DI OBAMA 

Siamo appena alla prima quindicina di giorni di governo e già Obama ha grossi problemi, interni ed esterni, che gli stanno rovinando la difficile reggenza; specie perché i problemi da risolvere sono sempre lì e per ora non si vede soluzione.
È cominciato con il ritiro di Nancy Killefer, esperta di questioni contabili che il Presidente aveva messo al bilancio della Casa Bianca, ma alcune irregolarità commesse in passato ne hanno consigliato le dimissioni; analoga situazione, forse un po’ più grave, è stata quella del Ministro della Sanità, Tom Dasche, quello che Obama aveva incaricato di riformare il settore sanitario americano: è reo confesso di avere evaso oltre 120mila dollari e, di conseguenza, ha rassegnato le dimissioni.
Mi è piaciuta la dichiarazione del Presidente: “Chiedo scusa, mi sono accorto di avere fatto una cavolata”, intendendo con quest’ultima parola che nei controlli che vengono fatti sui precedenti di ogni personaggio pubblico, su Dasche si era toppato; pensate che questi controlli sono talmente scrupolosi che vanno a vedere anche vere sciocchezzuole, tipo “assunzione a nero di un domestico” o altre cose del genere; piccolo commento: cosa succederebbe se analoga procedura venisse seguita in Italia?
Ma continuiamo ad essere seri e andiamo avanti con i grattacapi di Obama: a margine delle dichiarazioni sui due personaggi dimissionari, il neo Presidente ha detto: “La crisi è molto grave; non mi fa dormire la notte”; e su questo problema c’è da registrare una clamorosa marcia indietro di Obama: fino a pochi giorni addietro aveva lanciato lo slogan “buy american”, cioè “compra americano”, mentre adesso è costretto a dire “no al protezionismo”.
Questo perché in questo mondo governato da giocatori di scacchi che ad ogni mossa rispondono con una contromossa, la Cina, appreso che il Presidente U.S.A. aveva lanciato uno slogan sostanzialmente protezionistico, si è subito premunita di ricordargli che il 40% del Debito Pubblico americano è nelle proprie mani (proprio del Governo cinese) e quindi attenzione a come si muove, perché il mettere all’incasso tale “cambiale” avrebbe significato un enorme sconquasso nella finanza statunitense.
Tra gli inciamponi di Obama ci sono da registrare anche le sostanziali “non accettazioni” del suo messaggio pacificatore: ha cominciato il vecchio Castro, che per bocca del fratello Raul, ha detto che le parole di questo Presidente sembrano uguali a quelle degli altri che lo hanno preceduto; Ahmadinejad, come già detto nei giorni scorsi, per “fare la pace” pretende cose irrealizzabili, tipo il blocco degli aiuti a Israele; e poi ci si mette anche il suo quasi omonimo Osama che pone anche Barack sullo stesso piano degli altri e invita tutti gli islamici a colpire il nuovo Satana.
Per la situazione della crisi recessiva mondiale – problema che riprenderò al più presto – non credo che sia sufficiente il blocco a 500mila dollari (390mila euro) degli stipendi dei supermanager di Wall Street, ma è un segnale; per il momento ho un solo consiglio che sommessamente vorrei dare a Obama: si ricordi che la crisi ha preso l’avvio dalla “finanza bacata” e quindi si è spostata all’industria; quindi, cominci con una supervisione forte e autorevole, come c’è in Italia (il Paese meno colpito dalla tempesta finanziaria); ciò significa innanzitutto un controllo sulla stabilità e solidità patrimoniale delle aziende bancarie e finanziarie, a scapito della esasperata rincorsa alla redditività di tali imprese; insomma, prima di tutto porre mano al “finanziario”, settore dal quale è partito il male, e poi affrontare il problema della mano d’opera, attraverso, eventualmente, anche aiuti, a quelle aziende che si impegnano a “non licenziare”. In caso contrario, mettere in galera gli amministratori!!

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