lunedì, febbraio 16, 2009
MA LA CRESCITA E' PROPRIO OBBLIGATORIA ?
L’idea di questo post nasce dalla lettura di un articolo su un quotidiano, nel quale si affermava che nel 2009 avremo una crescita di -2,1%; ma come, mi sono chiesto, se abbiamo un -2,1% non possiamo parlare di crescita ma di diminuzione! E invece, usare quest’ultimo termine è come bestemmiare, mai dire che si diminuisce, sempre che si cresce, anche quando non lo stiamo facendo e allora, ecco lo scamotto (traduzione maccheronica dal francese escamotage) di parlare comunque di crescita ma di presentare le cifre reali, cioè il meno 2,1%: nella confusione a cosa crederemo?
Un mio amico mi diceva che questo “bisogno di crescita” è in diretta correlazione con il fatto che tutti i Paesi del mondo sono fortemente indebitati e quindi hanno un impellente bisogno della crescita a meno di non voler “fallire” e questo può essere la diagnosi, ma non la cura; io invece pensavo che questa crisi avrebbe dato l’opportunità ai nostri governanti di proporre alla gente un nuovo stile di vita, nel quale i canoni della globalizzazione vengono superati da quelli della felicità dell’individuo.
In sostanza, il problema di fondo è questo: l’uomo e la donna contemporanei possono vivere senza spendere mille euro per un paio di scarpe o tremila per un completo? Perché se non è possibile fare questo, l’uomo e la donna devono trovare i soldi per comprare a queste cifre folli il proprio vestiario e da qui nasce il più spietato capitalismo; una bella definizione di capitalismo nasce da una frase di Valerio Baldini che dice ad un amico, passeggiando in un campo in Africa: “La differenza tra un nero e un bianco sta in questo: che un nero se ha un campo lo coltiva per quanto gli basta, mentre il bianco lo coltiva tutto: ecco in due parole la definizione più calzante di capitalismo”; infatti, da questo diverso atteggiamento discende un altrettanto diverso approccio con la natura, in quanto il nero la usa rispettandola, mentre il bianco cerca di sottometterla e, quasi sempre ci riesce, salvo quando questa si rivolta e allora sono guai seri. Ma il bianco ha necessità di coltivare l’intero campo perché è abituato ad avere “bisogni costosi”, superflui, ma costosi e quindi non ha modo di fare turnazioni per le coltivazioni, ma cerca di coltivare perennemente, supportato dalla tecnologia (altro elemento che prevarica la natura): ormai sono all’ordine del giorno le prese di posizione di esperti biologi che sostengono la necessità di una riconsiderazione generale, perché l’aumento della produzione ha provocato processi distruttivi di carattere sociale (la quasi scomparsa dei contadini), ecologici (inquinamento ormai divenuto insostenibile) e patologici (all’insorgenza di malattie provenienti da un’alimentazione frutto dell’industria).
Ma chi dovrebbe proporre questa nuova “via della vita”? Non certo i politici, che anche nel recente summit dei G7 hanno mostrato la loro insipienza: raccomandazione di salvaguardare il mercato e quindi bando a ogni protezionismo (poi appena tornati in patria, ognuno fa quello che vuole) e nuove regole entro i prossimo quattro mesi del commercio mondiale e della finanza; se pensano che basti questo per risolvere tutti i problemi, sono – oltre il resto – anche degli illusi, ammettendo però che abbiano veramente interesse a risolvere i problemi della gente, cosa tutta da dimostrare.
Da parte mia, non ho la certezza che “la cosa” che io propongo funzioni, ma non vedo neppure quale altra “cosa” possa dare beneficio a questo nostro pianeta massacrato dall’egoismo di alcuni che si ritorce contro tutti: insomma, se consideriamo questa crisi come un’avvisaglia di una catastrofe che potrebbe essere imminente, forse ci è più facile cambiare i valori fondanti di questa nostra altrimenti inutile esistenza.
Un mio amico mi diceva che questo “bisogno di crescita” è in diretta correlazione con il fatto che tutti i Paesi del mondo sono fortemente indebitati e quindi hanno un impellente bisogno della crescita a meno di non voler “fallire” e questo può essere la diagnosi, ma non la cura; io invece pensavo che questa crisi avrebbe dato l’opportunità ai nostri governanti di proporre alla gente un nuovo stile di vita, nel quale i canoni della globalizzazione vengono superati da quelli della felicità dell’individuo.
In sostanza, il problema di fondo è questo: l’uomo e la donna contemporanei possono vivere senza spendere mille euro per un paio di scarpe o tremila per un completo? Perché se non è possibile fare questo, l’uomo e la donna devono trovare i soldi per comprare a queste cifre folli il proprio vestiario e da qui nasce il più spietato capitalismo; una bella definizione di capitalismo nasce da una frase di Valerio Baldini che dice ad un amico, passeggiando in un campo in Africa: “La differenza tra un nero e un bianco sta in questo: che un nero se ha un campo lo coltiva per quanto gli basta, mentre il bianco lo coltiva tutto: ecco in due parole la definizione più calzante di capitalismo”; infatti, da questo diverso atteggiamento discende un altrettanto diverso approccio con la natura, in quanto il nero la usa rispettandola, mentre il bianco cerca di sottometterla e, quasi sempre ci riesce, salvo quando questa si rivolta e allora sono guai seri. Ma il bianco ha necessità di coltivare l’intero campo perché è abituato ad avere “bisogni costosi”, superflui, ma costosi e quindi non ha modo di fare turnazioni per le coltivazioni, ma cerca di coltivare perennemente, supportato dalla tecnologia (altro elemento che prevarica la natura): ormai sono all’ordine del giorno le prese di posizione di esperti biologi che sostengono la necessità di una riconsiderazione generale, perché l’aumento della produzione ha provocato processi distruttivi di carattere sociale (la quasi scomparsa dei contadini), ecologici (inquinamento ormai divenuto insostenibile) e patologici (all’insorgenza di malattie provenienti da un’alimentazione frutto dell’industria).
Ma chi dovrebbe proporre questa nuova “via della vita”? Non certo i politici, che anche nel recente summit dei G7 hanno mostrato la loro insipienza: raccomandazione di salvaguardare il mercato e quindi bando a ogni protezionismo (poi appena tornati in patria, ognuno fa quello che vuole) e nuove regole entro i prossimo quattro mesi del commercio mondiale e della finanza; se pensano che basti questo per risolvere tutti i problemi, sono – oltre il resto – anche degli illusi, ammettendo però che abbiano veramente interesse a risolvere i problemi della gente, cosa tutta da dimostrare.
Da parte mia, non ho la certezza che “la cosa” che io propongo funzioni, ma non vedo neppure quale altra “cosa” possa dare beneficio a questo nostro pianeta massacrato dall’egoismo di alcuni che si ritorce contro tutti: insomma, se consideriamo questa crisi come un’avvisaglia di una catastrofe che potrebbe essere imminente, forse ci è più facile cambiare i valori fondanti di questa nostra altrimenti inutile esistenza.