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domenica, gennaio 04, 2009

L'EUROPA E LA CRISI MEDIORIENTALE 

Dall’inizio dell’anno, alla guida dell’Europa, la Repubblica Ceca subentra alla Francia di Sarkozy; in particolare, colui che siederà a Bruxelles nell’ufficio di presidenza è Vaclav Klaus, un autentico euroscettico.
Klaus si è sempre rifiutato di issare la bandiera europea sugli edifici pubblici di Praga e – insieme all’Irlanda – non ha ancora ratificato il trattato di Lisbona che apre la via per una radicale riforma delle strutture commerciali.
Il primo ministro cèco, Topolanek, è un personaggio più possibilista e si affanna a rassicurare i partner europei garantendo che il suo paese saprà continuare il lavoro di Parigi e promettendo che al più presto sarà ratificato il trattato di Lisbona.
Da notare che in questo momento ci sono due crisi – entrambe importanti, sia pure su piani diversi – che vorrebbero un’Europa coesa e impegnata sugli scacchieri mondiali, specie in questi primi giorni di gennaio che vedono la potenza americana in fase di “ristrutturazione”, con un Bush in partenza e con un Obama che avrebbe diritto almeno ad un periodo di tranquilla presa di potere.
Crisi finanziaria e recessione economica: questo il primo dei problemi sull’agenda del nuovo Presidente, mentre la crisi palestinese è l’altro banco di prova per la nuova leadership; l’inizio non è stato dei migliori: la prima dichiarazione di Klaus sull’invasione israeliana della striscia di Gaza è stata “e solo una mossa difensiva”, scatenando le rabbiose reazioni di tutto il mondo arabo e di parte dell’Europa.
Ed è così che il prode Sarkozy, distaccandosi dalla delegazione ufficiale dell’Europa, intraprenderà un suo personale viaggio in medio oriente al fine di riallacciare le fila di un discorso iniziato qualche tempo fa con i due interlocutori e che conteneva – si dice – anche una sorta di nuova “road map”; la mossa di Nicolas è duplice, ma è sempre tesa ad ottenere un successo “personale”: da una parte far dimenticare le affermazioni del cèco Klaus e dall’altra cercare di mettere il cappello su una trattativa che altrimenti tra qualche giorno passerà nelle mani della nuova accoppiata Obama/Clinton.
E quindi, per l’ennesima volta assistiamo ad una brutta figura dell’Europa, intendendo per tale una sostanziale personalizzazione del pensiero di ciascuno stato membro: questa non è ormai più una novità e non farebbe neppure notizia se si trattasse di affrontare il problema della lunghezza dei piselli da vendere, ma questa volta stiamo discutendo di esseri umani che rischiano la pelle anche standosene chiusi in casa.
Ma facciamo un attimo mente locale su quella che ormai è una vera e propria guerra anche se “anomala” in quanto dichiarata da uno Stato nei confronti di un Partito Politico; in questa vicenda ci sono due enormi anomalie: la prima è la pervicacia con cui Hamas si rifiuta di riconoscere lo Stato di Israele: è ovvio che senza tale riconoscimento nessuna trattativa può essere seriamente presa in considerazione in quanto è snaturata da un “vulnus” iniziale.
La seconda anomalia riguarda Israele e la sua affermazione “distruggeremo Hamas”; di queste situazioni e di queste sparate è piena la storia di questi ultimi anni, ma nessuna di queste ha portato fortuna a chi l’ha fatta; come è possibile che degli uomini politici, pratici di cose militari, come sono gli israeliani possano pensare che in questa invasione si possa parlare di vittoria israeliana e, conseguentemente, di sconfitta di Hamas: ormai è chiaro al mondo intero che la condanna dei due popoli è quella di trovare un compromesso che permetta ad entrambi una vita accettabile: solo così potranno affrontare il futuro e solo con la fiducia reciproca arrivarci.

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