domenica, gennaio 11, 2009
LA LEGGE DELLA NATURA
Chi è un po’ pratico del modo di condurre un attacco da parte di una belva affamata, sa benissimo che l’aggressore (leone, tigre, leopardo, ecc) sceglie all’interno di un branco di gazzelle o di antilopi, quella che è più debole, per malattia o vecchiaia e si dirige verso quello che a suo parere è il bersaglio più comodo e facile.
E nella quasi totalità dei casi la belva aggredente ha ragione e riesce ad uccidere il bersaglio ed a mangiarselo, magari insieme ai cuccioli e, nel caso della leonessa, al marito, troppo indolente per partecipare alla caccia.
Mi chiederete cosa c’entra questa apertura del post, dove voglio andare a parare; se avrete la pazienza di continuare a leggere, vedrete il seguito.
Questo seguito ha luogo in un paesetto alle porte di Napoli, Calandrino, dove una disabile cinquantenne di nome Felicia, poliomielitica dall’età di 12 anni, si dirige con la sua carrozzina elettrica verso l’Ufficio Postale per riscuotere la pensione di invalidità e una parte dei suoi risparmi, per un totale di 2.000 euro; è mezzogiorno quando esce dalla Posta e con la fida carrozzina elettrica si dirige verso casa, ma improvvisamente scorge una moto con due tipi dal volto coperto dal casco che la stanno seguendo.
L’innato senso del pericolo la induce a nascondere il malloppo nel reggiseno ed a dirigersi, alla massima velocità consentita dal mezzo, verso un condominio dove abita una sua cugina; riesce a raggiungere la casa ed a bussare alla porta, ma nessuno risponde – forse non c’è nessuno oppure è meglio non aprire – e nel frattempo la moto con i due tipi col casco l’hanno raggiunta e le intimano “dacci i soldi”, accompagnando la frase con alcuni manrovesci; lei cerca di resistere, sempre a bordo della carrozzina, ma i due, che l’hanno vista infilarsi qualcosa sotto il corpetto, la frugano brutalmente, la colpiscono, finché non trovano il malloppo; lo afferrano e si dileguano con la massima velocità, lasciando la povera Felicia accasciata sul suo mezzo, in preda a delle convulsioni forse dovute allo spavento o ad una crisi respiratoria. Intanto qualcuno ha chiamato i soccorsi ed è a loro che la donna con un filo di voce riesce a raccontare l’evento, spirando subito dopo, senza che sia stato possibile fare alcun intervento.
Ma chi era questa “preda debole”, prescelta dalle belve affamate? Dalla foto pubblicata sui giornali, appare come una donna un po’ chiattona, forse a causa dell’invalidità, ma con un volto decisamente bello e con una fronte aperta e sincera; viveva con l’anziano padre e chi la conosceva la descrive come una donna sempre disponibile per aiutare tutti, in prima linea per la lotta dei disabili contro tutte le barriere architettoniche, insomma come un essere umano che stava cercando di dare un senso alla propria esistenza, già minata in passato da una malattia invalidante.
Ma perché ho fatto tutta questa premessa ed ho legato la morte della povera Felicia con il pasto delle belve? Perché, come ho avuto modo di dire altre volte, quando l’animale uomo si comporta come l’animale leone non ha più nessun diritto di convivere con gli altri esseri umani, ma dovrebbe essere relegato insieme ai suoi simili, cioè alle belve che uccidono, appunto, la preda malata, proprio come è stato fatto da questi due delinquenti; che invece subiranno un processo, con tutte le attenuanti e le scusanti del caso e, saranno condannati a non più di 4 o al massimo 5 anni e quindi queste due belve ce le ritroveremo tra di noi al più presto; ecco, questo è quanto non VOGLIO: loro e altri loro simili, tipo di gli impiegati della Posta che dicono di non ricordare una disabile in carrozzina (vili!!) non fanno parte del genere umano e quindi non ce li VOGLIO tra noi. Metteteli insieme alle bestie ammesso che loro li vogliano!!
E nella quasi totalità dei casi la belva aggredente ha ragione e riesce ad uccidere il bersaglio ed a mangiarselo, magari insieme ai cuccioli e, nel caso della leonessa, al marito, troppo indolente per partecipare alla caccia.
Mi chiederete cosa c’entra questa apertura del post, dove voglio andare a parare; se avrete la pazienza di continuare a leggere, vedrete il seguito.
Questo seguito ha luogo in un paesetto alle porte di Napoli, Calandrino, dove una disabile cinquantenne di nome Felicia, poliomielitica dall’età di 12 anni, si dirige con la sua carrozzina elettrica verso l’Ufficio Postale per riscuotere la pensione di invalidità e una parte dei suoi risparmi, per un totale di 2.000 euro; è mezzogiorno quando esce dalla Posta e con la fida carrozzina elettrica si dirige verso casa, ma improvvisamente scorge una moto con due tipi dal volto coperto dal casco che la stanno seguendo.
L’innato senso del pericolo la induce a nascondere il malloppo nel reggiseno ed a dirigersi, alla massima velocità consentita dal mezzo, verso un condominio dove abita una sua cugina; riesce a raggiungere la casa ed a bussare alla porta, ma nessuno risponde – forse non c’è nessuno oppure è meglio non aprire – e nel frattempo la moto con i due tipi col casco l’hanno raggiunta e le intimano “dacci i soldi”, accompagnando la frase con alcuni manrovesci; lei cerca di resistere, sempre a bordo della carrozzina, ma i due, che l’hanno vista infilarsi qualcosa sotto il corpetto, la frugano brutalmente, la colpiscono, finché non trovano il malloppo; lo afferrano e si dileguano con la massima velocità, lasciando la povera Felicia accasciata sul suo mezzo, in preda a delle convulsioni forse dovute allo spavento o ad una crisi respiratoria. Intanto qualcuno ha chiamato i soccorsi ed è a loro che la donna con un filo di voce riesce a raccontare l’evento, spirando subito dopo, senza che sia stato possibile fare alcun intervento.
Ma chi era questa “preda debole”, prescelta dalle belve affamate? Dalla foto pubblicata sui giornali, appare come una donna un po’ chiattona, forse a causa dell’invalidità, ma con un volto decisamente bello e con una fronte aperta e sincera; viveva con l’anziano padre e chi la conosceva la descrive come una donna sempre disponibile per aiutare tutti, in prima linea per la lotta dei disabili contro tutte le barriere architettoniche, insomma come un essere umano che stava cercando di dare un senso alla propria esistenza, già minata in passato da una malattia invalidante.
Ma perché ho fatto tutta questa premessa ed ho legato la morte della povera Felicia con il pasto delle belve? Perché, come ho avuto modo di dire altre volte, quando l’animale uomo si comporta come l’animale leone non ha più nessun diritto di convivere con gli altri esseri umani, ma dovrebbe essere relegato insieme ai suoi simili, cioè alle belve che uccidono, appunto, la preda malata, proprio come è stato fatto da questi due delinquenti; che invece subiranno un processo, con tutte le attenuanti e le scusanti del caso e, saranno condannati a non più di 4 o al massimo 5 anni e quindi queste due belve ce le ritroveremo tra di noi al più presto; ecco, questo è quanto non VOGLIO: loro e altri loro simili, tipo di gli impiegati della Posta che dicono di non ricordare una disabile in carrozzina (vili!!) non fanno parte del genere umano e quindi non ce li VOGLIO tra noi. Metteteli insieme alle bestie ammesso che loro li vogliano!!