domenica, dicembre 28, 2008
POPOLO E PLEBE
Proprio ieri, invitato a cena da un amico, abbiamo parlato a proposito della situazione italiana (ma forse mondiale) nella quale esiste la democrazia – a parole – e questa, come abbiamo visto giorni addietro, possiamo definirla come “governo del popolo”.
Quindi abbiamo due corni della forchetta: il potere, rappresentato da coloro che governano in quanto eletti dal popolo e quest’ultimo che ha appunto il compito di interfacciarsi con il potere e controllarne l’operato.
Ma, come abbiamo detto con il mio amico, se al posto del “popolo” abbiamo “la plebe”, cosa succede? Anzitutto vediamo bene il significato di queste due parole, sempre utilizzando il fido Devoto – Oli: per popolo s’intende “una collettività etnicamente omogenea che realizza o presuppone anche unità ed autonomia di ordine civile e politico”; di contro, per plebe abbiamo la seguente definizione: “la parte peggiore del popolo, la più arretrata ed abbrutita”; quest’ultima definizione discende dall’uso che se ne faceva nell’antica Roma che indicava con siffatto appellativo “quella parte del popolo che, nei primi secoli della Repubblica, non godeva dei diritti dei cittadini che invece erano riservati ai patrizi”.
Già a livello di mera definizione si comprende appieno la differenza sostanziale tra queste due caratteristiche: il popolo incarna una collettività che ha un fine sociale da portare avanti e si organizza per realizzarlo, mentre la plebe è la parte “di scarto” di tale collettività, quella parte che vive una esistenza materialistica votata unicamente all’abbrutimento dei sensi.
Se diamo per scontato il postulato iniziale e cioè che adesso siamo “una plebe” e non un popolo, cosa ne discende? Anzitutto che il governo è stato eletto da questa moltitudine sgangherata e che la rappresenta interamente (da qui discende il detto “ogni Nazione ha il governo che si merita”) e degnamente; successivamente possiamo rilevare che questa marmaglia che abbiamo chiamato “plebe” non è certo in grado di controllare l’operato di coloro che ha delegato a comandare e quindi di fatto questi ultimi vengono lasciati liberi di operare come meglio fa loro comodo.
A questo punto ci corre l’obbligo di tentare di scoprire il motivo per cui il popolo è diventato “plebe”: ovviamente ogni sociologo avrà la sua diagnosi, ed io che non sono sociologo ma semiologo, cioè studioso dei “segni”, vi fornisco la mia; anzitutto diciamo che le modifiche psicologiche della gente possiamo datarle alla fine degli anni ’70, quando l’uso della televisione e degli altri mass media è diventato invasivo.
Ecco, da quella scatoletta che una volta era di legno e adesso è di plastica, ci sono stati (e ci sono anche attualmente) propinati tutta una serie di messaggi clandestini che noi abbiamo percepito come “informazioni pure e semplici” mentre si trattava di “comunicazioni”, cioè dell’idea dell’autore del messaggio circa quell’evento. Voi capite che a lungo andare queste comunicazione da noi recepite e immagazzinate come informazioni, sono diventate il nostro patrimonio dal quale attingere in sede di scelta, sia sociale che etica che politica: quindi in soldoni, possiamo dire che ci siamo ridotti a prendere le nostre decisioni utilizzando le idee di altri e quindi abbiamo perso la caratura di popolo per diventare soltanto plebe.
E non è facile uscire da questa situazione che è sostanzialmente psicologica e discende da una acquisizione inconscia di false informazioni; la prima mossa per cercare di liberarsi da questa situazione è rendersene conto (cosa che adesso non facciamo) e poi cercare i mezzi per acquisire consapevolezza e conoscenza.
Quindi abbiamo due corni della forchetta: il potere, rappresentato da coloro che governano in quanto eletti dal popolo e quest’ultimo che ha appunto il compito di interfacciarsi con il potere e controllarne l’operato.
Ma, come abbiamo detto con il mio amico, se al posto del “popolo” abbiamo “la plebe”, cosa succede? Anzitutto vediamo bene il significato di queste due parole, sempre utilizzando il fido Devoto – Oli: per popolo s’intende “una collettività etnicamente omogenea che realizza o presuppone anche unità ed autonomia di ordine civile e politico”; di contro, per plebe abbiamo la seguente definizione: “la parte peggiore del popolo, la più arretrata ed abbrutita”; quest’ultima definizione discende dall’uso che se ne faceva nell’antica Roma che indicava con siffatto appellativo “quella parte del popolo che, nei primi secoli della Repubblica, non godeva dei diritti dei cittadini che invece erano riservati ai patrizi”.
Già a livello di mera definizione si comprende appieno la differenza sostanziale tra queste due caratteristiche: il popolo incarna una collettività che ha un fine sociale da portare avanti e si organizza per realizzarlo, mentre la plebe è la parte “di scarto” di tale collettività, quella parte che vive una esistenza materialistica votata unicamente all’abbrutimento dei sensi.
Se diamo per scontato il postulato iniziale e cioè che adesso siamo “una plebe” e non un popolo, cosa ne discende? Anzitutto che il governo è stato eletto da questa moltitudine sgangherata e che la rappresenta interamente (da qui discende il detto “ogni Nazione ha il governo che si merita”) e degnamente; successivamente possiamo rilevare che questa marmaglia che abbiamo chiamato “plebe” non è certo in grado di controllare l’operato di coloro che ha delegato a comandare e quindi di fatto questi ultimi vengono lasciati liberi di operare come meglio fa loro comodo.
A questo punto ci corre l’obbligo di tentare di scoprire il motivo per cui il popolo è diventato “plebe”: ovviamente ogni sociologo avrà la sua diagnosi, ed io che non sono sociologo ma semiologo, cioè studioso dei “segni”, vi fornisco la mia; anzitutto diciamo che le modifiche psicologiche della gente possiamo datarle alla fine degli anni ’70, quando l’uso della televisione e degli altri mass media è diventato invasivo.
Ecco, da quella scatoletta che una volta era di legno e adesso è di plastica, ci sono stati (e ci sono anche attualmente) propinati tutta una serie di messaggi clandestini che noi abbiamo percepito come “informazioni pure e semplici” mentre si trattava di “comunicazioni”, cioè dell’idea dell’autore del messaggio circa quell’evento. Voi capite che a lungo andare queste comunicazione da noi recepite e immagazzinate come informazioni, sono diventate il nostro patrimonio dal quale attingere in sede di scelta, sia sociale che etica che politica: quindi in soldoni, possiamo dire che ci siamo ridotti a prendere le nostre decisioni utilizzando le idee di altri e quindi abbiamo perso la caratura di popolo per diventare soltanto plebe.
E non è facile uscire da questa situazione che è sostanzialmente psicologica e discende da una acquisizione inconscia di false informazioni; la prima mossa per cercare di liberarsi da questa situazione è rendersene conto (cosa che adesso non facciamo) e poi cercare i mezzi per acquisire consapevolezza e conoscenza.