sabato, novembre 08, 2008
IMPRONTE DIGITALI
Il problema che desidero affrontare non riguarda la norma che prevede le impronte digitali per i rom, ma qualcosa di ben diverso, anzi di completamente antitetico: si prende le impronte al potere.
Ma andiamo per ordine e vediamo la vicenda: da tempo immemorabile, nel nostro Parlamento si aggira una schiera di personaggi che hanno il compito di compiere una azione totalmente illecita e cioè votare anche per il compagno di partito che siede accanto nel banco dell’emiciclo e che è assente; questi signori che, ripeto, compiono una azione disonesta, vengono chiamati “pianisti”, in quanto il loro atteggiamento nell’azione del voto – entrambe le mani impegnate e divaricate – richiama quello del concertista nell’atto di suonare il pianoforte.
Questi signori – che ho già definito “disonesti”, ma che mi piace ripeterlo – sono molto ben visibili dalle riprese televisive ed anche dai commessi s’aula e perfino dal Presidente di turno, però evidentemente hanno il potere dell’intoccabilità, perché nessuno ha mai osato elevare una formale contestazione nei loro riguardi, nonostante la evidente e reiterata flagranza di reato nella quale vengono costantemente trovati.
Ed allora, con la voglia di spreco che ci anima, che cosa abbiamo inventato: un marchingegno che sostituisce il tasto di voto con un sensore che legge le impronte digitali del parlamentare e concede solo a lui di azionare il tasto per il voto; costo dell’operazione 450mila euro che a mio modesto avviso potevano, anzi dovevano essere spesi in altro modo; e l’attività truffaldina dei “pianisti” doveva essere colpita in altro modo e soprattutto indicando all’opinione pubblica il nome di coloro che agiscono in questo modo.
Si è invece optato per la mega-spesa elettronica e mi auguro che non ci siano stati degli interessi privatissimi che hanno prevalso sull’interesse generale; comunque, consoliamoci perché questo sistema non è presente solo in Italia ma in altri Paesi del Mondo; per la verità queste Nazioni sono poche, soltanto tre (Messico, Brasile e Albania); facciamoci i complimenti, perché siamo in compagnia di tutti Paesi del Terzo Mondo, categoria nella quale stiamo pian piano scivolando anche noi.
Il problema, ovviamente, discende dal fatto che molti parlamentari disertano le sedute della Camera e del Senato e – quando non sono “in missione” e quindi sono “per fatti propri” - si fanno sostituire nel voto dal collega “pianista”.
Una volta ricordo che “L’Unità”, quando era ancora l’organo del PCI, aveva un riquadrato in neretto che invitava i propri parlamentari ad essere fedelmente presenti alle sedute di Camera e Senato e minacciava sanzioni e sputtanatura sul giornale, in caso di assenze o di altre anomalie comportamentali: ma neppure loro ce l’hanno fatta e, nonostante le continue assenze dei politici, non si sono mai letti i nomi dei reprobi.
E così, per colpire dei “disonesti” – retribuiti in modo principesco – gli organi direttivi di Camera e Senato sono stati costretti a dotarsi degli strumenti necessari a conferire ai lavori del Parlamento un minimo di regolarità ed a spendere tutti quei soldi.
Possiamo fare un parallelo tra quanto indicato all’inizio (impronte ai rom) e la situazione del nostro Parlamento? In entrambi i casi si mette in opera un meccanismo tecnicamente complesso e costoso, per dare l’immagine di una deterrenza ad un reato non ancora commesso: infatti ne i Rom schedati e neppure i parlamentari, hanno ancora commesso nessun reato, ma entrambi sono fortemente sospettati di commetterlo molto presto. Chiaro il concetto??