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sabato, giugno 14, 2008

E NON LO VOGLIONO CHIAMARE SCHIAVISMO !! 

L’ultimo incidente sul lavoro che ha provocato tre morti, è avvenuto nella civilissima e progredita Milano ed ha avuto per vittime 3 egiziani, naturalmente clandestini, che lavoravano “in nero” su un grande ponteggio usato per costruire un palazzo di 6 piani.
I tre disgraziati, insieme ad altri due operai – non conosco l’origine di questi due – erano saliti all’ultimo piano dei ponteggi per iniziare i lavori di smontaggio delle impalcature, lavoro che secondo i primi accertamenti sarebbe stato eseguito senza il rispetto delle più elementari norme di sicurezza.
Con l’inesperienza tipica dei lavoratori “impiegati per qualche giorno e basta”, i tre avrebbero provveduto a smontare anche il filo di ferro che teneva agganciata l’impalcatura ad un balcone e questa sembra essere stata la causa scatenante della tragedia: il ponteggio ha incominciato a muoversi ed a piegarsi e in pochi secondi la rete dei tubolari di ferro si è accartocciata trascinando nel vuoto un centinaio di metri di struttura, all’interno della quale c’erano i tre giovani egiziani.
Ma come è possibile che per fare simili lavori di così elevata pericolosità ci si avvalga di operai senza alcuna esperienza, senza alcuna tutela e, infine, senza un briciolo di riconoscimento delle nostre strutture; i tre infatti sarebbero stati “ingaggiati” da un noto caporale della zona che nella centralissima Piazza Lotto, imbarca ogni giorno un certo numero di questi disgraziati ai quali viene riconosciuto un salario di 3 o 4 euro all’ora.
Mi sembra chiaro che siamo in presenza di una forma di schiavismo rivolta a questi disperati che, per bisogno di sopravvivere, si rendono disponibili per qualsiasi lavoro ed a qualunque paga; vorrei aggiungere che sembrerebbe che, sia nei sindacati di categoria (edili) e sia nelle associazioni di stranieri, si conosce questa tremenda situazione ma nessuno dice niente, ne al cronista che cerca notizie e neppure alle Forze dell’Ordine che indagano sui fatti.
E pensare che a Milano esiste una sorta di task force che si occupa del fenomeno (caporalato, lavoro in nero, ecc.) e che in pochi mesi ha aperto ben cinquemila fascicoli, ma evidentemente ancora non è stato snidato il vero focolaio d’infezione.
Il quale focolaio, a mio parere, si annida nelle stanze del potere industriale e ha nomi altisonanti: perché diciamoci la verità, non posso pensare che il direttore del cantiere, il proprietario della struttura in costruzione, il direttore dei lavori e tutti gli altri “super-pagati” dirigenti non avessero conoscenza del fenomeno e non sapessero che questi disgraziati venivano a rischiare la pelle per trenta euro al giorno.
No, sono certissimo che tutti sapevano ma tutti tacevano; forse credevano di ricreare una sorta di globalizzazione all’incontrario; mi spiego meglio: esiste il fenomeno della de-localizzazione per effetto del quale svariate aziende anche di grande nome hanno trasferito impianti e lavorazioni in luoghi dove la mano d’opera costa molto meno che da noi? Bene, questa tipologia operativa la possiamo ricreare anche in Italia! In che modo? Semplice, basta condurre da noi la mano d’opera a basso costo che si trova, ovviamente, nei paesi cosiddetti sottosviluppati.
Ed allora ecco i “flussi concordati”, ecco la faccia severa nei confronti dei clandestini ma contemporaneamente l’occhio di riguardo nei confronti delle varie strutture di caporalato che consentono di utilizzare e controllare il fenomeno.
Insomma, se volete il mio parere, i latifondisti della Louisiana che nel settecento importavano gli schiavi neri per farli lavorare nei loro campi di cotone, mi sembrano gli avi degli attuali imprenditori di casa nostra; o mi sbaglio??!!

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