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martedì, giugno 10, 2008

DUE PAROLE SULLE INTERCETTAZIONI 

L’uscita di Berlusconi sul divieto di intercettazioni telefoniche, ad esclusioni delle indagini su terrorismo e malavita organizzata, ha scatenato il consueto putiferio, proprio perché si tratta di una affermazione “alla Berlusconi”, cioè fatta per vedere le reazioni e, solo dopo, prendere i provvedimenti legislativi conseguenti.

Anzitutto dobbiamo considerare che la frase è stata pronunciata ad un convegno dei “giovani industriali”, proprio nello stesso periodo in cui si svolgeva un congresso dell’A.N.M. che – come ho già spiegato nel mio post di ieri - non è l’Associazione Nazionale Marinai e neppure l’Associazione Nazionale Muratori, bensì l’Associazione Nazionale Magistrati: chiaro il concetto??

Dalla parte dei giudici e dei P.M. sono volate parole grosse e si è detto che questo provvedimento potrebbe mettere in ginocchio un sacco di inchieste, soprattutto quelle sulla corruzione; benissimo, ci credo fermamente, ma quello che viene messo in discussione è il sistema – che alcuni definiscono “della rete da pesca” – per cui si intercetta una moltitudine di gente e, tra queste si ricerca coloro che in questo momento commettono reati.

Questa idea deriva da una semplice considerazione: il costo delle intercettazioni in Italia è, di gran lunga, il più alto dell’intera Europa: pensate che con i suoi 224 milioni di euro, sfiora un terzo dell’intero bilancio del Ministero di Giustizia; con questa cifra si sono intercettati nel 2007 ben 124.845 italiani; queste due cifre hanno del mostruoso!

Ma possiamo anche passarci sopra a tali spese; quello che invece la gente non tollera è che le intercettazioni, le più squallide ed ininfluenti per la giustizia, vadano a finire sui giornali e diventino materia di “chiacchiericci” nei salotti più o meno buoni della capitale; un solo esempio: nel contesto dell’indagine sull’immobiliarista Ricucci, tutti i giornali hanno pubblicato non le telefonate inerenti il reato – che erano di poco interesse gossipparo – ma gli S.M.S. scambiati con la moglie, l’attrice Anna Falchi.

Questo per dire che il provvedimento ventilato dal governo, è diretto non solo a chi intercetta ma anche a chi divulga il contenuto di tali intercettazioni; e qui andiamo a colpire un’altra “casta”, potente quasi quanto i magistrati e vedrete che le due categorie faranno fronte comune e non se ne farà niente.

In tutta la vicenda delle intercettazioni, fatto salvo il numero troppo rilevante e troppo dispendioso, il problema è nella utilizzazione sui giornali di quelle parti che diventano d’interesse (morboso!!) del pubblico; appena si tenta di toccare i giornalisti, vietando loro di pubblicare qualcosa, è un coro di “abbiamo il diritto/dovere di pubblicare quello che conosciamo” e quindi il tutto è demandato soltanto al buon gusto di qualche direttore; a questo proposito, ci sono anche le querele, ma con la puntualità della nostra amministrazione della giustizia, la sentenza arriva dopo almeno dieci anni.

Il problema è complesso, ma la soluzione potrebbe essere quella di controllare la divulgazione dai Palazzi di Giustizia fino alle redazioni; come mai nessun giornalista è mai stato accusato di qualcosa? Forse perché la pubblicazione era concordata con qualche magistrato? Evidentemente non c’è uno specifico interesse da parte dei P.M. a scoprire chi, dall’interno del Palazzo, ha fornito le notizie ai cronisti.

Insomma, l’argomento è di quelli spinosi, ma non mi sembra giusto fare finta di niente e lasciare le cose come stanno; certo che se il mettere le mani per modificare qualcosa deve scatenare le ire di due caste così potenti come magistrati e giornalisti, c’è da domandarsi: chi ha il coraggio di sfidare questi colossi??


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