giovedì, maggio 29, 2008
E' MORTO SYDNEY POLLACK
Sydney Pollack aveva 73 anni ma già da un po’ di tempo non lavorava, colpito come era da un mare incurabile; ma di lui ci restano tantissimi film e pochi sbagliati: per me è soprattutto l’uomo che capiva – e in alcuni casi anticipava – la situazione sociale del mondo occidentale, in particolare dell’America, e lo faceva con film assolutamente non cerebrali ma dal forte impatto con il grande pubblico: è stato infatti tra i pochi che è riuscito a coniugare la parola successo al botteghino con l’impegno sociale.
Dentista mancato, fa il proprio esordio nel cinema nel 1965 con un melodramma interpretato dal regista Sydney Lumet, “La vita corre sul filo”, nel quale si narra la storia di un impiegato della “voce amica” che riesce a salvare una suicida.
Il suo capolavoro – almeno per me – rimane “Non si uccidono così anche i cavalli?”, nel quale una inedita coppia – una giovanissima Jane Fonda ed un maturo ma ancora in gamba Red Buttons – interpretano una coppia di disperati impegnati in una tremenda maratona di ballo; in questo film, per la prima volta il cinema fornisce una propria visione della società capitalistica, fatta di tanti incentivi che spronano la gente a lavorare sempre di più, ma con la sorpresa finale che di queste promesse non se ne mantiene neppure una e coloro che ci sono cascati si ritrovano al punto di partenza, cioè poveri in canna come erano partiti.
È di quegli anni la nascita della bella amicizia con Robert Redford che interpreterà molti suoi film: la collaborazione inizia con “Corvo rosso non avrai il mio scalpo” (1972) e proseguirà con “Come eravamo” (1973), “I tre giorni del condor” (1975), che disegna uno spaccato impressionante della CIA, “Il cavaliere elettrico” (1979), “La mia Africa” (1985) che gli valse ben 7 premi Oscar; ed il dramma storico “Havana” del 1990; a questi film girati con Redford, dobbiamo aggiungere il famosissimo “Tootsie” del 1982 nel quale Dustin Hoffmann lavora buona parte del film vestito da donna e “Sabrina” (1995), remake – per la verità poco riuscito – del capolavoro di Billy Wilder del 1942 e l’ultimo film girato “The Interpreter” (2005) o interpretato, il ruolo dell’ambiguo boss in “Michael Clayton” di Geroge Clooney.
Il rapporto di Pollack con Redford – oltre ai film sopra ricordati – ha prodotto il celebre Sundance Institute, laboratorio di cinema, diventato poi Festival Internazionale.
In questi ultimi anni, molti sono stati gli attori o i registi passati a miglior vita, ma solo di Pollack ho sentito il dovere di fare un ricordo; forse si tratta della poliedricità dell’uomo che, già grande regista, non disdegnava di apparire in parti di rilievo in alcuni film realizzati da colleghi, come in “Michael Clayton” di Clooney ed anche nel più famoso “Eyes Wide Shut” di Kubrick, da Pollack prodotto e terminato in fase di montaggio, dopo la morte di Kubrick.
Direi che nella filmografia di Pollack, se escludiamo il deludente “Sabrina”, non ci sono film sbagliati, o meglio, film “fatti tanto per fare”: ogni opera ha la sua tematica ed è realizzata anche in modo che tale messaggio arrivi al cuore ed al cervello dello spettatore e credetemi, non è cosa da tutti, anzi, direi che sono pochissimi gli autori che possono dire di condurre questa politica espressiva.
Per me, comunque, Pollack è stato subito un grande maestro, da quando mi sono imbattuto – eravamo nel 1969 e da noi si balbettava di rivoluzione ed altre amenità del genere – nello splendido “Non si uccidono così anche i cavalli”, autentico manifesto contro lo sfruttamento dell’attuale (anche adesso!) società, alla quale l’autore rinfaccia le tante promesse fatte e le pochissime mantenute.