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martedì, aprile 22, 2008

ATTENTI AL TRENO 

In questi giorni in cui la grande stampa è strapiena di titoloni sull’aumento del petrolio e dei generi alimentari di prima necessità, mi sembra giusto ricordare l’arguta profezia di Taranga Totanka, il capo pellerossa meglio conosciuto come “Toro Seduto”; egli disse che i bianchi “quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, ucciso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche”.

Grande Capo, mai come in questa frase trovo l’intima essenza della verità e del baratro nel quale stiamo precipitando tutti, attratti come siamo da una sola cosa: il denaro, circostanza che mi induce a ricordare il mitico Creso che morì di fame dato che le sue mani trasformavano in oro tutto quello che toccavano.

Il nostro modello di sviluppo ha distrutto con la sua drammatica penetrazione, tutte quelle economie di sussistenza (autoproduzione e autoconsumo) dei paesi che noi chiamiamo Terzo Mondo, su cui quelle popolazioni avevano vissuto e a volte anche prosperato, per secoli e secoli. La ricerca del denaro – cioè di uno stipendio – ha condotto questa gente ad abbandonare i campi ed a inurbarsi nella città che, piano piano, è diventata una megalopoli nella quale non ci si riconosce. E quando la multinazionale che li aveva assunti, ha chiuso la fabbrica perché ha trovato altri luoghi con mano d’opera a minore costo, la gente si ritrova sola – perché nessuno è così solo come colui che è nella metropoli – sprovvista di beni e affamata, con l’unica risorsa che gli viene prospettata: diventare delinquente (se si è uomini) o prostituta (se si è donna), in quanto non si può neppure tornare indietro poiché l’abbandono della campagna ha creato la desertificazione.

E dato che sono a fare citazioni, mi piace riportare una dichiarazione di qualche anno fa di Carlo Rubbia, Premio Nobel per la fisica che descriveva così la nostra situazione: “siamo su un treno che va a ottocento chilometri l’ora e che per la sua dinamica interna deve continuamente aumentare la velocità; non c’è il macchinista o se c’è i comandi gli sono sfuggiti di mano da tempo e il convoglio va per conto suo. Tra i passeggeri c’è chi è seduto su comode poltrone – anche se sballottato e frastornato dalla velocità e in preda ad un inquieto malessere – chi è seduto in seconda classe , chi sulle panche, chi sugli strapuntini, chi mezzo fuori dai finestrini che cerca di entrare e viene respinto”.

È una perfetta immagine della nostra civiltà globalizzata, dove anche coloro che stanno meglio cominciano ad avvertire l’assurdità della situazione, l’eccessiva importanza che viene data agli incrementi produttivi, senza i quali tutto sembra fermarsi, ed infine la pervicacia con cui si cerca di far passare per progresso qualcosa che riesce nella titanica impresa di fare star male TUTTI, chi per un verso chi per l’altro.

La circostanza più drammatica è che la velocità del treno non è stabilita da NESSUNO, neppure da quelli che noi crediamo essere i “padroni del vapore”; il treno ha una sua vita, una sua velocità ed una sua progressione, ma ai comandi non c’è NESSUNO.

E di queste cose, del nostro futuro e soprattutto del futuro dei nostri figli, nessun politico ne parla, come se lui potesse fermare il treno e far scendere chi interessa a lui; e invece così non è, perché nessuno scende dal treno, come nessuno conosce la destinazione finale di questo drammatico viaggio.

Alcuni movimenti, dal bioregionalismo al comunitarismo (entrambi di matrice nordamericana) cercano di fermare il treno e ricondurre la vita su binari diversi, ma sono pochi e sparuti: comunque ne riparleremo!!


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