giovedì, febbraio 07, 2008
E I PREZZI SALGONO
Mentre i politici affilano le armi per le prossime elezioni, l’ISTAT dirama un dato che a definirlo preoccupante, sarebbe da incoscienti; infatti non è solo preoccupante, è addirittura drammatico: dal gennaio 2007 al gennaio 2008 i prezzi al consumo hanno avuto un impennata pari al 2,9%, la più alta registrata dal
Da un esame del “paniere” da cui si ricava il dato, si può vedere che gli unici comparti ad essere in calo sono le telecomunicazioni (0,7%), gli spettacoli (0,6%) e le spese per la salute (0,1%); sono invece in forte aumento quelle spese che possiamo definire “indispensabili” per una famiglia normale: +12% per il pane, +10% per la pasta, +8,5% per il latte, + 5% per la frutta e + 5,4% per i trasporti e +4% acqua, gas ed elettricità.
Prima di inoltrarci in qualche commento sui dati che ho esposto, mi corre l’obbligo di portare alla vostra conoscenza che – nonostante questo caro-prezzi fotografato dall’Istituto di Statistica – le associazioni dei consumatori contestano i dati ritenendoli assai inferiori alla realtà e minacciando addirittura una “class action” contro l’ISTAT; venendo poi a parlare di soldi e non di percentuali, le stesse associazioni di categoria stimano la stangata tra gli 850 e i 1000 euro.
Che cosa fare? Come difenderci da questo salasso? Diciamo subito che l’italiano medio è abituato a queste impennate dei prezzi, perché dal dopoguerra ad oggi gli aumenti sono stati giganteschi; solo che fino ad un certo momento il lavoratore ed il pensionato aveva la copertura della “scala mobile” (parola che solo a scriverla c’è da essere denunciati!!) che aveva la funzione di riportare il potere d’acquisto di salari e pensioni a condizioni precedenti quegli aumenti.
Da più parti si pontificò al tempo dell’abolizione di questo meccanismo, che la “scala mobile” era essa stessa a generare inflazione e quindi profondamente negativa per l’andamento dell’economia.
Ma io mi chiedo – sommessamente, perché non ho né la veste né le capacità per pontificare – come faccia un meccanismo di ripristino di una condizione a generare inflazione: in pratica, il meccanismo si muoveva trimestralmente e, sui conteggi ISTAT, si calcolava quanto era l’incidenza degli aumenti e si ripristinava una percentuale su salari e pensioni; quindi, facendo un esempio terra, terra, se io con lo stipendio del periodo precedente a quello di riferimento, posso acquistare una serie, definiamola”x”, di beni e servizi, dopo, con gli aumenti, per entrare in possesso degli stessi beni e servizi, mi occorrono più soldi, altrimenti, con gli stessi denari di prima, acquisto meno beni e servizi, cioè “x” – 2,9%.
Mi sembrava tanto chiaro, comprensibile anche ad uno come me, ma fui spernacchiato da tanti soloni dell’economia che però, a mia specifica domanda, non mi seppero fornire una ricetta diversa per fare in modo che il lavoratore ed il pensionato, in forma automatica e quindi senza tante contrattazioni, rientri in possesso della stessa quota di potere d’acquisto che aveva prima.
Certo si può ragionare anche come fa il Vice Ministro Visco che, dall’alto dei suoi 18.000 euro mensili, afferma con supponenza: “Non mi sembra che vada tanto male, rispetto al trend europeo non c’è niente di nuovo”: a parte che del trend europeo non ce ne frega niente, cosa mi dice l’ineffabile Visco sulla differenza dei salari tra noi (penultimi in Europa) e gli altri?
Comunque ora sono tutti dietro ad altre faccende (corro solo, corro in compagnia, non corro) e quindi nessuno è interessato a risponderci sulla materia. Aspettiamo??