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sabato, gennaio 19, 2008

LA MORTE DI BOBBY 

Con Bobby Fischer se ne va uno dei miti maggiori della mia giovinezza; è stato senza dubbio il più grande scacchista di tutti i tempi ed ha rappresentato – per noi che allora eravamo giovani – un esempio di una enorme potenza mentale: si disse che riusciva a prevedere fino a 48 mosse dell’avversario.

Eravamo abituati agli scacchisti russi, tutti uguali, sembravano costruiti in laboratorio, mentre quando apparve Bobby sulla scena mondiale, si vide subito che era un’altra cosa: sfidò il russo Boris Spassky e nella fredda Reykjavik, abbattendo tutte le previsioni che gli erano contrarie, batté clamorosamente il campione sovietico e divenne campione del mondo.

Facciamo anche mente locale alla situazione internazionale dell’epoca: anzitutto siamo in piena “guerra fredda” e l’incontro di un russo con un americano rappresentava una sorta di guerra calda, in antitesi a quella fredda che si combatteva attraverso il muro di Berlino; ed anche a Reykjavik alcune spie erano in azione, proprio come nei film.

Fisher vinse e tutti cominciarono ad interessarsi a questo “ragazzo” che a soli 29 anni era diventato campione del mondo: aveva lo stesso quoziente di intelligenza di Albert Einstein – 186 – e questo già la dice lunga sul personaggio; aveva battuto un grande maestro degli scacchi come Boris Spassky, imbattuto da lunghissimo tempo.

Come se Bobby avesse raggiunto quello che voleva e quindi fosse appagato, non difese il titolo conquistato e quindi venne dichiarato “decaduto”; scomparve dalla scena pubblica e suscitò l’insorgere di tutta una serie di leggende metropolitane: chi lo aveva visto nel deserto insieme ad un branco di straccioni, chi invece giocare a scacchi con dei ragazzini a Central Park.

Sulla sfida di Reykjavik, ancora oggi permangono alcune curiosità: Bobby lasciò vincere una partita a Spasshy quasi senza resistere, sembrava assente, quasi rinunciatario; lo chiamo al telefono addirittura Kissinger – allora Segretario di Stato – per sincerarsi sulle sue condizioni di salute e per spronarlo al massimo impegno; da quel momento si impose nettamente con 7 vittorie contro tre sconfitte e 11 pareggi; dopo l’incontro il suo avversario dichiarò: ”Quando si gioca contro Fisher non si tratta di vincere o di perdere, ma di sopravvivere”.

Bobby riapparve sulla scena solo nel 1992 – cioè 20 anni più tardi – per offrire la rivincita a Spassky, che nel frattempo era stato detronizzato da Karpov, e l’incontro si tenne nella Jugoslavia di Milosevic, in piena guerra civile: vinse ancora Fisher per 17 e mezzo a 12 e mezzo e si guadagnò una borsa di 5,5 milioni di dollari, ma non poté tornare negli Stati Uniti perché il suo paese aveva emesso un mandato di cattura internazionale nei suoi confronti per avere violato l’embargo decretato contro Milosevic.

Non è più rientrato in America ed anzi nei primi tempi ha dovuto nascondersi per scampare l’arresto; poi si è trasferito in Giappone dove, nel 2001 ha così commentato l’attentato alle Twin Towers: “E’ un’ottima notizia”; immaginarsi l’eco di questa dichiarazione: l’associazione scacchistica americana lo espulse e lui rinunciò alla cittadinanza U.S.A.

Nel 2004 anche i giapponesi lo cercano per arrestarlo in quanto trovato in possesso di documenti falsi; viene salvato dagli islandesi che gli concedono la cittadinanza e così può partire per Reykjavik, città del suo trionfo scacchistico, insieme con la sua compagna giapponese Miyoko Watai, l’unica donna che dice di avere amato.

E qui si è spento, a 64 anni di età, senza lasciare alcuna dichiarazione; ciao Bobby!!


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