sabato, dicembre 08, 2007
VOLERE METTERE IL BECCO PER FORZA
L’indice climatico, cioè la classifica dedicata all’impatto dei vari paesi sul clima della terra, mi ha riservato un paio di sorprese: la prima è che l’Italia è al 41° posto, ultima tra le nazioni dell’Europa occidentale, e che ai primi posti, a parte le scontate Svezia, Germania e Islanda, troviamo il Messico in quarta posizione, seguito dall’India e dall’Ungheria.
Da questa classifica, che io considero un indice di “civiltà” effettiva, la sorpresa maggiore me la procurano il Messico e soprattutto l’India, nazioni che consideravo quasi da terzo mondo e che invece ce le suonano abbondantemente a noi cosiddetti paesi sviluppati (ma non civili!).
E questo fatto mi induce a fare alcune riflessioni su quelle che appare e quello che è: noi, che dall’alto della nostra civiltà proveniente addirittura da Giulio Cesare e compagnia bella, siamo adusi a trinciare giudizi su quei paesi che – a nostro giudizio – sono considerati “arretrati” in quanto attuano un tipo di sviluppo diverso dal consumismo sfrenato che pervade noi occidentali.
Per esempio, citiamo l’India, una nazione smisurata, da paragonare soltanto alla Cina per grandezza e per numero di abitanti, ma decisamente diversa in quanto, evidentemente, più attenta alle emissioni di CO2 o altri parametri che compongono la classifica dei più virtuosi.
Eppure, l’India viene considerata la nazione che ha ancora i “paria”, gli intoccabili, ha ancora i mendicanti che muoiono per la strada a decine ogni notte che vengono raccolto e gettati nel fiume; è anche il paese che “vanta” il maggior numero di lavoro nero affidato a ragazzini: tutti ricorderanno lo scandalo dei palloni di calcio costruiti in India da una azienda americana.
Il trinciare giudizi sulle altrui peculiarità è tipico dei “vincitori”, di coloro cioè che hanno sconfitto un nemico e lo vogliono addirittura assoggettare antropologicamente inducendolo – con le buone o con le cattive – a mutare i propri principi informatori che hanno costituito l’asse portante della propria civiltà.
Ed ora arrivo al punto nodale: tutti noi italiani siamo contrari alla pena di morte (anche se in occasione di delitti particolarmente efferati si sente invocarla da più parti) e quindi bene abbiamo fatto a farci paladini presso l’ONU per una moratoria che almeno blocchi le condanne a simile pena che noi consideriamo una “barbarie”.
Ma questo principio e questo concetto non credo che possa e debba essere imposto a culture che hanno concezioni della vita, della morte e della giustizia diverse dalle nostre e che vanno rispettate per quello che sono.
Anche perché il mondo occidentale non si perita di dare la morte in altri modi, tipo bombardamenti su civili o anche su truppe straniere non belligeranti (vedasi una serie infinita di teatri di guerra fra i quali citerò
In buona sostanza, costringere i paesi che hanno ancora la pena di morte che gli proviene dalla propria cultura è nient’altro che una ricerca di omologazione universale verso la “nostra” cultura e questo – cari amici – è il vero totalitarismo della nostra epoca.