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martedì, settembre 18, 2007

ANCORA SU GRILLO 

La polemica di Grillo contro “la politica” continua a montare e tutto questo fa gioco al comico genovese che usufruisce così di una dose massiccia di pubblicità; la sua ultima uscita – l‘invito ai cittadini a costituire liste civiche alle quali lui darà una sorta di bollino di garanzia – non è una vera e propria entrata in politica ma non è neppure il contrario.

Il nostro premier nella trasmissione Porta a Porta, ha evitato di polemizzare con Grillo (ed ha fatto bene) ma se l’è presa con gli italiani che hanno applaudito Grillo, affermando con la consueta spocchia che “non è migliore della casta”, cioè della nomenclatura politica da cui prende le distanze lo stesso comico: e qui caro Prodi ha fatto male, forse in preda a quel sentirsi superiore a tutti, ha spesso affermato “io governo, non faccio spettacolo” sapendo che nessuno nello studio televisivo poteva rispondergli con un gigantesco “PURTROPPO”.

Ma lasciamo stare le polemiche, anche se mi intrigherebbe sapere come mai Prodi – a giorni alterni – una volta dice che abbasserà le tasse e l’altra che le tasse non saranno abbassate; ho pensato invece che negli scorsi mesi è uscito sui nostri schermi un film, “L’uomo dell’anno”, del quale mi sono occupato per la rivista per cui scrivo e quindi mi è venuta l’idea di proporlo agli amici del blog (è un po’ lungo, ma non male), in quanto – sia pure in parte – richiama il caso Grillo, anche se poi ci sono altre cose che spostano la vicenda verso altre sponde.

Ho fatto quindi un “copia e incolla” con l’articolo in questione, e ve lo propongo così come è uscito; non è un modo per utilizzare due volte la stessa cosa, ma credo che possa interessare a qualcuno.

L’UOMO DELL’ANNO

Regia di Barry Levinson

E’ la storia di Tom Dobbs, un comico televisivo che costruisce le proprie battute attaccando il potere politico (per fare un esempio di un personaggio che può assomigliargli, citerei Beppe Grillo, anche se non completamente simile); siamo vicino ad una nuova elezione del Presidente degli Stati Uniti e le gags di Tom vertono principalmente su questo argomento; durante una delle solite trasmissioni, una signora del pubblico si rivolge provocatoriamente a Tom chiedendogli: “ma perché non si candida lei alla presidenza?; il comico raccoglie lo spunto per la battuta e afferma che ci sta pensando molto seriamente, suscitando un mare di risate e una salva di applausi; quella sera stessa l’emittente televisiva dalla quale viene irradiato il programma, riceve centinaia di migliaia di e-mail che plaudono al suo tentativo e lo incitano a buttarsi nella mischia.

La cosa, nata da uno scherzo, diventa seria e Dobbs – insieme ai consueti collaboratori tra i quali spicca il manager Jack Menken - inizia davvero una sorta di campagna per partecipare alla elezione del prossimo Presidente; nei primi discorsi in pubblico e nelle prime interviste, Tom abbandona il suo tono sarcastico per diventare “quasi” un politico, affrontando cioè le problematiche e gli spunti della campagna con lo stesso tono di un politico consumato; viene nominato “il migliore tra gli indipendenti” e così ha il diritto di partecipare alla conferenza stampa di chiusura insieme ai due sfidanti ufficiali: è in quella sede che ridiventa uomo di spettacolo e praticamente fa saltare tutta la trasmissione perché, lungi dal rispettare i tempi prefissati, scarica tutta una serie di battute ad effetto contro entrambi gli sbigottiti politici.

Contemporaneamente allo sviluppo della campagna elettorale, due argomenti diventano importanti anche ai fini della narrazione: il suo manager Jack, tra l’altro suo grande amico, ha un grave collasso che, unito ad un forte enfisema, lo porta su una sedia a rotelle; l’altra vicenda che si snoda parallela è quella di Eleonor, una esperta di computer che ha inventato il programma che verrà adottato nei seggi elettorali: controllando meglio il software si accorge che il programma è sbagliato e che i risultati che produrrà saranno anch’essi errati: l’azienda dove la ragazza lavora, una delle “solite” multinazionali” rifiuta solo l’idea di bloccare il programma e impedisce alla ragazza di parlarne con chicchessia.

Arriviamo al giorno dell’elezione e i primi dati – gli exit-pool – assegnano al candidato indipendente un più che lusinghiero 12%; quando poi cominciano ad arrivare i risultati dai vari Stati, la sorpresa è grandissima perché in tutti Tom Dobbs ha stracciato gli altri due candidati e quindi, dopo aver visionato tutti i risultati, il nostro comico viene nominato “presidente eletto”, in attesa dell’insediamento alla Casa Bianca.

Intanto la giovane Eleonor viene licenziata dalla casa produttrice del software, la quale però continua a farla seguire da propri scagnozzi per vedere che cosa combina: visto che la ragazza cerca di incontrare Dobbs, viene incaricato un sicario che ha il compito di ucciderla.

Eleonor riesce ad incontrare Tom, tra i due scoppia anche una simpatia che poi si trasformerà in qualcosa di più, ma contemporaneamente rivela a Dobbs, per amore della verità, che la sua vittoria è frutto di un errore nei calcolatori elettronici delle sezioni; mentre tutti gli amici e collaboratori lo spingono a fare finta di niente, dato che nessuno mai scoprirà l’errore, Tom, convoca una conferenza stampa e rivela tutto ai giornalisti, uscendo così dalla gara per la Casa Bianca: ritornerà a fare il comico in televisione, con gli stessi collaboratori e con in più Eleonor che inizia da amica e poi ne diventa prima amante e poi moglie.

Il film ha un “come” narrativo di particolare interesse ed è rappresentato dal fatto che il tutto viene narrato da Jack, il manager di Tom, il quale scandisce tutte le fasi della vicenda: se cerchiamo il motivo di questa scelta dell’autore, dobbiamo subito dire che Jack non riveste solo la parte del testimone, ma forse anche quella del narratore della favola, colui che inizia sempre con il fatidico “c’era una volta”; ed allora alcune incongruenze e illogicità che poi vedremo, se comprese all’interno di una favola, possono essere accettate, altrimenti……

E vediamole queste incongruenze: la prima è che la differenza tra gli exit-pool e il risultato reale sia così grande: dal 12% a superare il 51%, è un dato che nessun cronista avrebbe accettato senza indagarci sopra e neppure i due candidati sconfitti se ne sarebbero stati tranquilli; e invece, in una facola, tutto può essere accettato e tutto può accadere.

Data questa premessa, vediamo di analizzare la struttura del film: è diviso in quattro parti, ognuna abbastanza distinta dalle altre. La prima presenta il personaggio, Tom Dobbs, subito all’inizio negli studi televisivi dove realizza la sua trasmissione e poi durante la campagna elettorale; da un certo punto in poi questo blocco ha una sorta di “venatura”, rappresentata dalla figura di Eleonor, con le sua preoccupazioni e l’ansia di raccontare a qualcuno dell’errore insito nel software.

La seconda parte comprende la vittoria, inaspettata e – come detto “favolistica” – nella quale Tom sembra ritrovare la sua brillantezza di comico TV e sforna una serie di battute una più esilarante dell’altra; anche questa parte vede la presenza sempre più accentuata della ragazza che nel frattempo è stata licenziata dalla multinazionale che ha realizzato il software e che cerca di incontrare il neo eletto presidente, con le difficoltà che è facile immaginare.

La terza parte ci presenta l’incontro tra Eleonor e Tom, la confessione dell’accaduto e la decisione del neo presidente di rivelare tutto alle telecamere e rinunciare all’elezione che, stante l’errore, dovrà essere ripetuta (a proposito, ci dice il “narratore” che alla nuova tornata elettorale Tom non si presenta naturalmente).

La quarta e ultima parte ci mostra il Tom Dobbs non più presidente e quindi rientrato nel suo ruolo di comico televisivo, con al fianco i vecchi collaboratori, ai quali si è aggiunta Eleonor che diventerà la compagna di Tom.

Vediamo adesso se è possibile tirare fuori qualcosa di tematico da questa struttura: anzitutto, il film (ripeto: vuole essere una favola e solo così può essere presentato) mostra il potere come un apparato di opportunisti (l’uso della “famiglia”) e di manipolatori, mentre il nostro Tom ha “solo” quello che gli deriva dalla sua fama massmediale: ma è proprio questa notorietà discendente dal mezzo che lo porta ad avere il successo che ha e non certo le battute e le affermazioni scherzose dette in campagna elettorale.

Comunque il nostro Tom, “non vince le elezioni”, ma raggranella un sostanzioso 10-12% e basta; il successo, come già detto, gli arriva per effetto di un errore insito nel software; quindi possiamo dire che la massmedialità del personaggio ha valenza nel risultato ma non è decisiva.

Un’altra tematica – potrei chiamarla “idea parziale” – mi sembra quella dell’estrema onestà del personaggio che, pur sapendo di poter interpretare il ruolo di presidente senza che nessuno vada a raccontare niente a giornali e TV, rifiuta e ritorna a fare il comico: è prova di onestà oppure è consapevolezza dell’onnipotenza dei mezzi di comunicazione che - potrebbe pensare il nostro Tom - prima o poi arriveranno di certo a scoprire l’inghippo ?

Quindi, l’opera nel suo complesso non ha una tematica univoca, ma solo delle idee parziali che mai si uniscono insieme, per difetto evidente di sceneggiatura e restano quindi solo delle tematiche parziali.

Alcune di queste idee parziali sembrano prese dalla realtà e quindi possono rivestire, per il grosso pubblico, un interesse da copertina di rivista di gossip: infatti, i due elementi del film – il personaggio televisivo e i brogli elettorali – sono ben presenti nella storia anche recente americana: già Reagan e successivamente Schwarzenegger provengono dal mondo dello spettacolo e in quanto a brogli (pasticci, errori, chiamiamoli come si vuole) è recentissimo il caso di Bush e della Florida: ovviamente nel nostro “L’uomo dell’anno” le cose sono completamente diverse, ma l’assonanza per le persone semplici esiste e potrebbe fare aggio sul valore del film.

Alcuni accenni del film a modi e sistemi di sfruttamento dei mass-media diventano comunque di grande interesse, come il discorso del magnate dell’azienda di software dopo avere scoperto l’errore, che parla esplicitamente di “illusione della legittimità” che diventa più importante della legittimità stessa perché annunciata da un mezzo “sempre creduto”, oppure l’altra battuta di Jack che parla di fantasia che deve essere credibile per diventare più importante della realtà, e infine, la lucidissima lezione del collaboratore di Tom sulle capacità della televisione di rendere vere tutte le tesi e quindi di non rendere realmente vero più niente.

Scartata quindi la possibilità di individuare un’idea tematica, dobbiamo comunque apprezzare la vicenda del film che è ben realizzata da un ottimo regista e che si avvale di un grandissimo Robin Williams e di uno splendido Christopher Walken che interpreta il ruolo del manager/amico d’infanzia di Tom, specie nella parte di film in cui recita costretto sulla sedia a rotelle (nella sequenza del ballo, il suo movimento dei piedi a ritmo di musica è un piccolo gioiello).


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