<$BlogRSDUrl$>

martedì, maggio 01, 2007

1° MAGGIO - FESTA DEL LAVORO 

Al di là delle feste, dei canti e dei cortei, anche quest’anno la Festa del Lavoro è consistita, principalmente, in una sfilata di sindacalisti e uomini politici tutti impegnati a santificare il lavoro ed a stigmatizzare le cosiddette “morti bianche”, cioè quelle relative ad incidenti sul lavoro (quest’ultima cosa discende dalla sacrosanta “mania” che sta pervadendo il Presidente della Repubblica, perché prima non ne parlava nessuno).

Negli anni passati non ho mai commentato l’evento; troppo facile sarebbe stato ripiegare il discorso sull’eccessiva agiografia della manifestazione; quest’anno invece ho deciso di segnalare agli amici lettori alcune considerazioni che mi sento di fare in proposito.

La prima è quella che in tutti i paesi nei quali prevale il concetto di “globalizzazione”, il lavoro è tenuto agli ultimi posti della scala sociale e viene considerato come una merce il cui costo “deve” necessariamente calare per poter far sì che il prodotto entri in competizione con tutti gli altri che vengono fabbricati utilizzando “schiavi” anziché lavoratori; da noi non siamo ancora arrivati ad usare quel termine, ma nella sostanza siamo già a quei livelli.

E mi spiego: tutta la voglia che hanno i nostri imprenditori di fare arrivare mano d’opera dai paesi nordafricani, nordeuropei e sudamericani, deriva – a mio modo di vedere – dalla volontà di immettere nella filiera produttiva, elementi a bassissimo costo che, pertanto, producano un calo vistoso del prezzo del manufatto.

Mi viene contrapposto che in Italia – come in altri paesi europei – alcuni lavori “non vogliono più essere fatti dagli indigeni e quindi si deve trovare la mano d’opera fuori dai confini”: mi sembra ovvio che è una grossa balla, in quanto quei lavori non vogliono essere fatti “a quei salari”, cioè a quei bassi costi orari che solo “disperati” extracomunitari sono disposti ad accettare.

Come sempre avviene nel mondo delle variazioni improvvise, la lotta non è tra classi dominanti e dominate, ma all’interno della singola classe (dominata) ci sono coloro che si fanno la guerra per essere ancora più dominati di altri: ed è così che i pomodori (tanto per citare un esempio facile, facile) vengono raccolti da nordafricani, ma solo perché a questi “disgraziati” viene concesso un salario a cottimo che porta diritto al concetto di sfruttamento della mano d’opera; i nostri – finché possono – scansano questi lavori, non per la loro specifica peculiarità, ma perché non consente loro di sbarcare il lunario.

Qui mi fermo nelle rivendicazioni e passo alle affermazioni di principio: le società (in testa quelle capitalistiche) hanno una sola chance, prima di soccombere ad una rivoluzione globale – nel senso che investe l’intero globo – ed è quella di riportare al centro della filiera produttiva “l’uomo” e non il prodotto ed agire nei sistemi produttivi – costi quel che costa – in modo che questa autentica rivoluzione avvenga.

Purtroppo questo concetto del primato dell’uomo sul prodotto l’ho sentito usare soltanto dal Papa e, comprenderete, che un laicaccio come me non può essere soddisfatto di ciò; quindi, meno cortei e meno autorità sui palchi a prendersi applausi di maniera, ma più idee autenticamente rivoluzionarie, di una rivoluzione pacifica come potrebbe essere quella che ho elencato sopra.

In alternativa a ciò esiste solo una cosa: una rivoluzione “non pacifica”, bensì violenta, assai violenta, nella quale morti e distruzioni si potrebbero sprecare.

Meditiamo, gente, meditiamo!!


This page is powered by Blogger. Isn't yours?