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domenica, febbraio 25, 2007

PARLIAMO D'ALTRO 

Basta parlare di crisi di governo, di risse a sinistra (a proposito, ricordate la famosa frase di Togliatti: “nessuno alla nostra sinistra”? è ancora valida), di mercato delle vacche, di tradimenti, eccetera; parliamo invece di qualcosa che sia un po’ più allegro, se di allegria si può parlare in questo mondo che al massimo sembra concederci un po’ di satira.

Dunque, cominciamo dal buon Lapo Elkann che evidentemente non sa la fortuna che ha avuto nella vita, poiché alla sua età e con il suo cervello, tanti altri suoi coetanei fanno ancora i precari da qualche parte; e lui invece che fa? Ritorna sul tragicomico evento della sua scappatella a base di transessuale sudamericano condita con cocaina e con susseguente overdose, per dipingere uno scenario fosco: addirittura ci sarebbe di mezzo Luciamo Moggi (il diavolo del pallone) che avrebbe ordito l’agguato dei mezzi di comunicazione al “fiorellino” Lapo nel mentre raggiungeva – non con le sue gambe – il pronto soccorso dell’ospedale.

Tre sole considerazioni: la prima è quella che, in Italia, l’alibi del complotto non si nega a nessuno, figurarsi al nipote dell’Avvocato; la seconda è che Moggi continua ad essere “demonizzato” come a suo tempo venne fatto con Gelli, quello della P2, al quale venivano ricondotti tutti i misteri e le nefandezze d’Italia; la terza è che la tossicodipendenza – ammessa immediatamente e, sembra, al momento superata – ed anche l’attrazione per i trans – questo non ammesso – non sono cose che possono essere indotte da qualcuno, ma realtà che ognuno vive sulla sua pelle, quindi lasci stare Moggi, ringrazi Dio di chiamarsi come si chiama e faccia meno interviste sull’argomento; di “lavorare di più” non glielo dico perché tanto non mi sembra nelle sue corde (tutto lo zio)!!

Da Moggi al calcio il passo è breve, ma dal calcio al rugby il passo è lunghissimo, ma affascinante, perché ci propone una disciplina sportiva nella quale i nostri giocatori cominciano ad emergere anche a livello internazionale, pur avendo una base di partenza assai scarsa e pochissimi mezzi economici.

Una fastidiosa influenza mi ha tenuto in casa questa settimana e così ho “trovato” in televisione la partita Italia – Scozia trasmessa da “La 7”; vedere la faccia infangata di Troncon – capitano azzurro - sputare l’anima dietro ad un pallone oblungo, placcare avversari e compagni nelle mischie furibonde (ma corrette) nelle quali nessuno esce ridotto in frantumi come parrebbe ad un ignorante come me; e sugli spalti, i tifosi delle due squadre socializzare tranquillamente e sottolineare con grandi applausi i gesti tecnici che avvengono in campo, chiunque sia a farli.

Ed è facile, direi automatico, paragonare questo modo di interpretare lo sport, la forza fisica, il contatto con l’avversario, con quello che avviene nel mondo del calcio, dove assistiamo settimanalmente a scene di violenza sugli spalti e fuori dallo stadi, con ultras votati alla distruzione del nemico e con giocatori in campo che al minimo contatto fisico cadono e si rotolano a terra come se fossero stati colpiti da una scarica di mitraglia (e ci credo, le loro gambe sono preziose, mica come quelle di Troncon).

Dopo aver fatto i complimenti a La 7 per l’acume mostrato nel riprendere queste partite di rugby, dobbiamo chiederci il perché delle tante differenze (sociologiche) tra i due sport: la prima grande cosa che li divide sono i soldi e quindi sarebbe facile ricondurre tutto a questo, ma sarà poi così?


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