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venerdì, gennaio 12, 2007

IL MASSACRO DI ERBA 

Solo ieri siamo arrivati alla conclusione del tragico evento di Erba che ha avuto 4 morti (tra essi un bambino di due anni e mezzo) ed un ferito gravissimo, del quale è stata sciolta la prognosi da poco, ma che è stato anche la chiave di volta per incastrare i due omicidi, Olindo Romano e Rosa Bazzi.

“Mi è sembrato Olindo”, ha detto agli inquirenti in uno dei rari momenti di lucidità e questo nome era simile a quello di un vicino della famiglia Castagna, maciullata con spranghe e coltellacci; dopo questa indicazione è subentrato il “magico” RIS di Parma che è riuscito a trovare una piccola macchiolina di sangue del superstite nella macchina di Olindo e, a quel punto, il gioco è stato fatto: i due hanno retto poco più agli stringenti interrogatori ed hanno confessato di avere ucciso quella ragazza, la moglie del tunisino Azouz, il loro bambino, la nonna ed una vicina che si trovava in casa per sua sfortuna.

I motivi: poco comprensibili e assai futili nella sostanza, ma di questo ci sarà tempo per riparlarne; adesso mi interessano altre cose, per esempio come è stato accolto nella cittadina di Erba, il drammatico fatto di sangue: dopo le riprovazioni per l’esecuzione di Saddam, siamo ritornati ad invocare la pena di morte – ma con torture tipo “fateli a fettine” – per i coniugi assassini.

Sentite queste dichiarazioni, tutte debitamente sottoscritte con nome e cognome – che io non cito – a dimostrazione della estrema convinzione delle parole: “Queste persone devono essere i detenuti a torturarli. Una tortura lenta, non vanno fatte morire subito” e poi un’altra di una casalinga “Non devono andare in carcere, starebbero troppo bene. Dobbiamo essere noi erbesi a farli a fettine. Piantare un palo in piazza, legarli e noi passare uno alla volta e fargli un po’ di male, poco alla volta, un pezzetto alla volta.

Quale i motivi di questa reazione dei compaesani? Facciamo un passo indietro e ricordiamoci che quando venne scoperto il delitto, per svariati giorni venne percorsa la pista degli “uomini di colore”, prima il marito, che invece era in Tunisia, poi i suoi amici/nemici che avevano fatto tutto quel massacro per vendicare alcuni torti subiti dal tunisino nell’ambito del commercio della droga.

I feroci assassini, gli essere inumani, definiti animaleschi, erano individuati negli “uomini neri”, quindi niente di straordinario, se non il nostro lassismo a farli entrare; commento della gente: “da quelli lì cosa ti vuoi aspettare se non la ferocia più inumana?”

Le cose però non sono andate così, perché le tracce che portavano agli “uomini neri” si sono presto dissolte e se ne sono aperte altre rivolte verso gli “uomini bianchi” ed è stato proprio per loro che si sono spalancate le porte del carcere; alla rabbia si è accoppiata lo sconcerto per i “neri” assolti e per i “bianchi” condannati e definiti – loro, veramente in maniera giusta – animali feroci.

Ma questo modo di pensare non è che sia scomparso con l’avvento della confessione dei due “animali”, in quanto la proprietaria del Bar più frequentato del paese, ancora oggi ha avuto il coraggio di dire – testualmente – “Tra Olindo e Azouz non avrei esitato su chi invitare per un caffè: Olindo!!”.

Indubbiamente, tutti noi “bianchi” abbiamo ricevuto una bella lezione che, se ben compresa, potrebbe tornarci utile, ma solo se l’accettiamo con grande umiltà e con la consapevolezza dei nostri errori; altrimenti è inutile….


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