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giovedì, dicembre 28, 2006

LA CONDANNA A MORTE DI SADDAM 

Anche la Corte d’Appello irakena ha confermato la condanna a morte mediante impiccagione per l’ex dittatore Saddam Hussein, accusato di svariati omicidi di massa commessi per continuare a governare l’Iraq nonostante le varie etnia che si combattevano – e continuano anche adesso – per la supremazia nel paese.

Il mondo, in particolare l’Europa, si stanno dividendo in due fazioni, una a favore della sentenza e l’altra che invece sarebbe per risparmiare la vita a Saddam; vediamo queste posizioni: i favorevoli alla pena di morte fanno un discorso di una semplicità disarmante (lo stesso che fanno per le analoghe esecuzioni in Cina, Russia e U.S.A.) e cioè che anche se si rifiuta “per principio” l’impiego del boia, tuttavia non dobbiamo dimenticare che tale tipo di condanna è previsto dal codice penale iracheno e quindi….(è la posizione, tanto per citarne una a caso, della Cancelliera Tedesca Angela Merkel).

I contrari alla pena di morte si dividono a loro volta in due categorie: quelli che sono contrari “per principio” e che sono avversi a questa come a tutte le altre esecuzioni che avvengono nel mondo (magari in questo caso si agitano di più in quanto la stampa concede loro maggiore spazio); tra questi il più famoso è José Manuel Barroso il quale ha dichiarato che “l’Unione Europea è contro la pena di morte in qualsiasi caso e il qualsiasi Paese”: dichiarazione un po’ avventata, fatta a nome anche di coloro – tipo i francesi e i tedeschi – che appaiono assai più tiepidi nella condanna.

C’è poi una ulteriore corrente di pensiero che fa un discorso assai utilitaristico che recita, grosso modo, così: “Nell’Iraq già destabilizzato di oggi, sarebbe un errore politico aggiungere un ulteriore elemento di destabilizzazione”. In concreto, il discorso che sta sotto questa dichiarazione è “ c’è già abbastanza confusione in Iraq e questo evento non farà altro che aumentarla”; autore di questa dichiarazione è, tra gli altri, il Presidente della Regione Lombardia, Formigoni, - già amico personale di Tarek Aziz – che si rifugia in un “politichese” d’altri tempi

Adesso che ho riportato le posizioni di alcuni leader politici, vorrei provare a dire la mia, giusta o sbagliata che sia: anzitutto diciamo che una condanna a morte deve provocare una feroce riprovazione da parte di tutti; ma quando dico questo alludo non solo a Saddam, ma anche a tutti coloro (oltre dieci mila l’anno) che nella Cina della libertà economica, vengono uccisi ogni anno; oppure alle centinaia di esecuzioni (di cui sappiamo meno) che avvengono in Russia e alle decine (delle quali sappiamo invece tutto) che si svolgono in America: quindi l’ordine di scuderia dovrebbe essere “mobilitiamoci per ogni esecuzione”, e invece….

Detto questo e scendendo al caso in esame, si comprende benissimo che la posizione processuale di Saddam rappresenta una sorta di “patata bollente”: se gli viene comminata la pena di morte si rischia di farlo diventare un martire (figura quanto mai antitetica al dittatore iracheno); se invece la pena gli viene commutata nell’ergastolo, si rischia di avere un personaggio scomodo che può fare dei danni incalcolabili, contrappuntando ogni scelta e ogni decisione del governo.

La Storia (quella con la “s” maiuscola”) riserva sempre la morte ai dittatori sconfitti (Hitler, Mussolini, Ceausescu, per citare gli ultimi casi) facendo una sola eccezione per Francisco Franco, ma in quel caso, il personaggio scelse di uscire di scena con morbidezza e con l’aiuto della reintegrata famiglia reale.


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