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domenica, dicembre 10, 2006

IL CASO WELBY 

Piergiorgio Welbi, affetto da una malattia degenerativa dal nome di “distrofia miotonica”, è da 78 giorni assolutamente immobile in un letto di ospedale, attaccato ad una serie di macchine che mandano avanti i suoi polmoni bloccati dalla malattia; ha scritto a tutti, giornali, televisioni, politici, perfino al Presidente Napolitano, per chiedere che gli venga concessa una morte indolore.
E qui si è scatenata la bagarre, perché si è cominciato a fare confusione tra i due termini che vengono applicati – uno dei due non correttamente – e cioè “accanimento terapeutico” ed “eutanasia”.
Cominciamo da quest’ultima e diamo subito la definizione che mi perviene dal Devoto-Oli: “morte serena e indolore che viene data per mezzo di narcotici, a infermi atrocemente sofferenti”; tenete a mente l’aspetto della somministrazione dei narcotici, perché ritornerà anche dopo. Ebbene, questa forma di “dare la morte” in Italia è vietata dalla legge ed è sanzionata addirittura con 15 anni di reclusione: qualcuno di voi ricorderà che poche settimane or sono, il Presidente Napolitano ha graziato, dopo quattro anni di carcere, quel medico che aveva dato la “serena morte” al figlio incurabile.
Torniamo allora al capoverso precedente e diciamo subito che – al contrario – l’accanimento terapeutico è un reato perseguibile dalla magistratura e sanzionabile nei confronti dei medici con alcuni anni di carcere; il tutto discende da un concetto che esiste nella nostra pratica terapeutica e cioè quello di “consenso informato”, in base al quale ogni cura ed ogni strategia medica deve essere autorizzata dal paziente dopo che allo stesso sono state fornite tutte le informazioni circa lo stato della sua malattia e le possibilità che si hanno di una guarigione o meno.
Quindi, dopo che al povero Welby sono state fornite le informazioni circa la impossibilità di guarire, lo stesso ha chiesto che si interrompesse la “ventilazione polmonare” e quindi gli si desse la morte per soffocamento, morte atroce che dovrebbe essere lenita con farmaci narcotici; e qui subentra l’unione tra le due pratiche, in quanto la narcosi rientra nel campo dell’eutanasia, mentre tutto il resto fa parte del consenso informato.
Insomma – per quello che ho capito io – tutta la vicenda, a prescindere dalle questioni “di principio”, ruota attorno a quei pochissimi minuti nei quali Welby, al quale staccano la spina della macchina, muore per soffocamento, cioè in modo atroce, cosa che si vorrebbe evitare facendo emergere dalla finestra quello che non può passare dalla porta, cioè la narcotizzazione e quindi l’eutanasia.
Poiché siamo in Italia, viene ventilata una ipotesi di soluzione “all’italiana”: fare il trattamento narcotizzante, poi staccare la spina e non dire niente a nessuno; ma qui casca l’asino, in quanto Welby è Segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscione, il primo distrofico a chiedere la dolce morte e quindi la battaglia diventa politica, con prese di posizione da una parte e dall’altra.
Da notare che nel caso di Welby e dei tanti malati nelle sue condizioni, non c’è neppure la scusa della difficoltà di interpretare la sua volontà, in quanto egli è perfettamente in grado di intendere e di volere, come suol dirsi, e di comunicare, aggiungo io, e la sua lucidità è di gran lunga superiore alla maggior parte di coloro che stanno dibattendo la questione.

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